Nefesim Kesilene Kadar – Until I Lose My Breathe (Fino a perdere il respiro), un film di Emine Emel Balcı. Con Esme Madra, Rıza Akın, Sema Keçik. Sezione Forum. Una povera ragazza di nome Serap nella Turchia a veloce industrializzazione. Un film che sembra nella prima parte il dardenniano Rosetta in versione anatolica. Poi, però, c’è una svolta, con parecchie sorprese. Forse il miglior film visto finora alla Berlinale. Voto 7 e mezzo
Il mio quinto film di giovedì 5 febbraio (visto alle 21,30 al solito Cinemaxx) e di gran lunga il migliore della giornata. Nella seminuova Turchia dell’industralizzazione, tra fabbrichette tessili e truck driver che attraversano l’Anatolia e la connetono a Europa e Asia, spesso con traffici opachi. Vite divelte e riconfigurate forzosamente dalla modernità arrembante e insieme ancorate agli arcaismi che non muoiono mai, in una schizofrenia antropologica come tante volte l’abbiamo già vista sotto altri soli e lune. Serap è una ragazza di molt sfortune, con un padre disgraziato che di mestiere farebbe il camonista, ma è sempre disoccupato, oltretutto indebitato per via di un incidente, e con trascorsi in galera da contrabbandieri. Uno che ha rovinato la sua famiglia. La moglie non c’è più da tempo, le due figlie le ha mollate al loro destino. Solo Serap le è rimasta affezionata, lo segue, lo tampina, gi fa pressione perché trovi un lavoro e possano prendere un appartamento insieme. Perché lei, l’infelice, è costretta vivere dalla sorella e dal cognato, un orrido tipaccio degno del Dickens più truculento che ogni volta che lei se ne torna casa dal lavoro la perquisisce per acertarsi che non nasconda i soldi dela pag. Soldi che a suo dire spettano a lui. Tutta la prima parte del film con la povera Serap ultima tra gli ultimi fa pensare a una Rosetta dardenniana in versione turca; la stessa sequenza di sfighe, la stessa solitudine a imbozzolare una vita desolata. Ma non sarà così, non sarà sempre così. Il film a un certo punto svolta e dal neo-neorealismo diventa il ritratto glaciale e fenomenico di una giovane donna che ha deciso di lottare, e anche a calpestare gli altri se necessario, per sopravivere. Serap pianifica la sua piccola ascesa. La promuveranno sul lavoro, denuncerà coloro che la intralciano, si prenderà le sue vendette. Serap ha perso l’innocenza, ha tiarto fuori il suo lato luciferino. E il film acquista un peso, uno spessore, che non ci saremo aspettati e che è raro vedere in questo genere di film (sì, ormai di genere si può parlarem figlio dei Dardenne, di Mungiu, di Loach, di Andrea Arnold). Neo-neorealismo senza concessioni sentimentali, quello di Fino a perdere il respiro, che non considera gli stracci e la povertà come alibi per atti moralmente abietti. Attenzione alla sua giovane regista,potrebbe diventare qualcuno. Serap mi ha ricordato Kapò di Gillo Pontecorvo, con quella sua protagonista che da vittima si faceva carnefice di altre vittime in collusione con il Male.
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