The Divergent Series: Insurgent, un film di Robert Schwentke. Con Shailene Woodley, Theo James, Naomi Watts, Kate Winslet, Octavia Spencer, Miles Teller.
La parte seconda di una saga che molto ha in comune con The Hunger Games: una società autoritaria dominata da un’oligarchia, un popolo di sudditi tenuti a bada con la manipolazione e il terrore. Ma da qualche parte cova la ribellione, e a guidarla son dei ragazzi. Tutto déjà-vu. Di buono c’è Shailene Woodley, di interessante ci sono gli echi, temo involontari, di tanta storia del ‘900 (i totalitarismi) e di distopie letterarie come 1984. Voto 5 e mezzo
E però si comincia a non poterne più di questi film per young adults, anche perché mica si ha più l’età, tutti uguali, tutti clonati dalla matrice The Hunger Games. Leggo che la saga Divergent scritta da Veronica Roth (non so chi sia la signora: confesso la mia ignoranza) ha venduto qualcosa come 30 milioni di copie, e prendo atto dell’imponenza del fenomeno, anche se stento a capire. Non che questo Divergent numero 2 – il primo non l’ho visto – sia in sé così malvagio e inguardabile, è la stanca e insieme ossessiva replica del modello originario a infastidire e logorare. Lo schema è il solito, gli ingredienti pure: siamo in una distopia prossima ventura, in un mondo sopravvissuto a una qualche catastrofe (guerre dall’esterno, guerre civili, disastri naturali, disastri indotti ecc.) diventato società totalitaria. Controllo capillare sulle vite e perfino sulle menti e i corpi dei citadini-sudditi-schiavi, il potere nelle mani di una ristretta e feroce oligarchia. Uso cinico delle comunicazioni di massa per manipolare le coscienze. Intanto in una parte dell’infelice contrada qualche frangia si ribella, e si tratta preferibilmente di giovanotti e giovanotte che, stufi di essere usati e/o sfruttati e/o oppressi, muovono guerra al palazzo. In tale schema narrativo han gran peso le donne: donne guerriere con le palle (in The Hunger Games Jennifer Lawrence, qui Shailene Woodley), donne a capo ora dei rivoltosi (in questo Naomi Watts, nell’ultimo Hunger Games Julianne Moore), ora super carogna della cricca al potere (qui Kate Winslet, in The Giver, altro prodotto similare, Meryl Streep). Un protagonismo femminile che riduce i maschi, per quanto forzuti e bellocci, a comprimari più o meno decorativi. Cosa mai voglia dire tutto questo lo lascio volentieri agli autoproclamatisi esperti del nulla e alle articolesse stanche dei giornali, o di quel che resta dei giornali. Quel che balza all’occhio è che si tratta di poderose narrazioni e drammatizzazioni sul passaggio all’età adulta farcite di fantasmi edipici e riti di iniziazione mascherati in varie forme: prove di coraggio e resistenza fisica e mentale, e così via. Ovvio che gli young adults di ogni parte del nostro globalizzato mondo vi si riconoscano accorendo in platea a trangugiare popcorn. Mi chiedo anche come mai in un tempo molto lontano i giovani incazzati con il potere scendessero in piazza mentre adesso (almeno in Occidente) la loro guerra la fanno perlopiù per interposta e fantasmatica persona, attraverso gli eroi e le eroine di questo genere cinematografico. Quanto a Divergent numero 2, i ribelli alla fin fine son costituiti solo da una ragazza di nome Tris e dal suo moroso Quattro, perché gli altri del gruppo di lotta iniziale man mano si disperdono per i più svariati motivi, e gli alleati trovati poi per strada o si rivelano inadeguati o infidi. Si tratta di rovesciare un regime che comanda su una società chiusa, difesa da un invalicabile muro dai pericoli esterni, e divisa al proprio interno in categorie-casta che si chiamano Pacifici, Candidi, Abneganti (ossignore), Intrepidi ed Esclusi. Se ho ben capito – c’è molto di confuso nel racconto – si finisce nelle suddette caste dopo essere stati sottoposti a un test attitudinale. Capita però che ci siano dei soggetti che non possono rientrare nei gruppi di cui sopra perché hanno le caratteristiche di più d’uno di loro, o di tutti, o di nessuno, e sono per l’appunto i Divergenti. Ecco, trovo tutto ciò lambiccatissimo, tortuoso, inutilmente complicato, e del tutti gratuite e inspiegate le varie avventure e disavventure che toccano ai due protagonisti, eppure il pubblico giovane (ce n’era qualche rappresentante al press screening) mostra di gradire. Il punto di forza dell’intera operazione a pensarci bene è Shailene Woodley, attrice in irresistibile ascesa vista in Colpa delle stelle, che non sfigura al confronto della travolgente Jennifer Lawrence di The Hunger Games. In un ruolo collaterale si rivede il Miles Teller che picchiava furiosamente sui tamburi in Whiplash. Uscendo mi son chiesto come mai in questo film ritroviamo tanti elementi, per quanto trasfigurati e drammatizzati e trasferiti, delle società totalitarie del Novecento, e come narrativamente e visivamente questo Divergent, e The Hunger Games e gli altri esemplari del filone, siano un’evidente estensione dell’orwelliano 1984, oltre che di certe distopie cinematografiche alla Metropolis. Come se la Storia e quel passato, espulsi dalla (in)coscienza collettiva e dagli orizzonti delle nuove generazioni, vi ritornassero surrettiziamente. Secondo le ben note leggi freudiane del ritorno del rimosso.
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