Ma il fracking? Se ne parla in PROMISED LAND, il film di Gus Van Sant stasera in tv (lun. 23 marzo 2015 – tv in chiaro)

Promised Land, Rai 3, ore 21,05.
Ripubblico la recensione scritta dopo la proiezione al festival Berlino 2013. Il film non mi è piaciuto, ma di sicuro merita una visione, se non altro perché nel frattempo la polemica sul fracking, negli Stati Uniti e non solo, si è fatta rovente.

?????????????Promised Land
, regia di Gus Van Sant su soggetto di David Eggers e sceneggiatura di John Krasinski e Matt Damon. Cast: Matt Damon, Frances McDormand, John Krasinski, Rosemarie DeWitt. Berlinale 2013. In Competizione.
Promised LandCattivi capitalisti vogliono insidiare una zona rurale dell’America profonda con il fracking, quelle tecnica di ‘liberazione’ dei gas contenuti negli scisti mediante introduzione di acqua e sabbia. Un film predicatorio e schematico, e malato di populismo, che neppure Gus Van Sant e Matt Damon rescono a salvare. Voto 4 e mezzo
?????????????La delusione più grande a oggi di questa Berlinale. I nomi in ballo lasciavano aspettare un esito interessante parecchio, e invece. Pensate un po’, Gus Van Sant alla regia, uno dei nomi più influenti del cinema anni Duemila, e però qui nella sua versione più mainstream e meno personale, soggettista Dave Eggers, per anni e anni lo scrittore più chic e de’ culto d’America, un ottimo attore come Matt Damon, qui anche co-autore della sceneggiatura come ai tempi di Will Haunting (e allora per la sceneggiatura vinse l’Oscar insieme a Ben Affleck). Un tale dispiegamento di talenti non è bastato a salvare questo film pur abilmente confezionato, ben girato e interpretato, da una irrecuperabile mediocrità. Steve Butler (Damon) viene mandato da una big company in un villaggio dell’Ohio profondo. Terre, acque, fattorie, allevamenti: un presepe. Deve convincere per conto della Global, l’azienda per cui lavora, i proprietari delle fattorie ad autorizzare (dietro congruo, congruissimo pagamento) il ricorso al fracking, immissioni in profondità di acqua nei loro terreni per raggiungere e sfruttare gli enormi giacimenti di gas naturale che si nascondono là sotto. Si assicura l’uso di teconologie avanzate e la massima sicurezza per cose, persone e animali. Steve, che ha visto il suo villaggio natale impoverirsi dopo la crisi che ha devastato la fabbrica locale, crede profondamente nella sua missione, è convinto che quel fiume di denaro che dalla Global arriverà nelle tasche dei farmer li salverà dall’inarrestabile declino economico cui sono condannati. Ma se all’inizio sembra semplice convincere la gente a dare i permessi (e incassare montagne di soldi che risolveranno per sempre i loro problemi), poi le cose si complicano. Prima un professore del MIT in pensione avverte che ci potrebbero essere problemi dati da quei sondaggi in profondità, poi arriva un ecologista che a poco a poco ribalta la situazione e convince la popolazione locale dei rischi cui andrebbero incontro. Steve si ritrova quasi tutti contro. Ma ci sarà un colpaccio di scena, la vittoria sembrerà a portata di mano. Sembrerà soltanto. Ora, la narrativa è quella che abbiamo visto mille volte, e stucchevolissima. Da una parte gli orchi capitalisti assetati di denaro che non esitano a ingannare pur di mettere le mani sul tesoro, dall’altra i villici che, essenso villici e vicini alla natura, sono rousseauianamente puri di cuori e dalla parte del Bene. Ruralismo povero e immacolato versus industrialismo ricco, protervo, sporco e cattivo. No grazie, non se ne può più. Questo apologo esemplarissimo è di una correttezza ecologico-politica e di uno schematismo insostenibili, con predica e messaggio che ci vengono inoculati a ogni scena. Matt Damon ha la faccia del bravo americano, ma non ce la fa a infondere un fremito seppur minimo al suo personaggio, non ce la fa proprio a chiaroscurarlo e dargli un minimo di spessore. Fisicamente è ormai un omone inquartato, e l’agilità di Bourne sembra irrimediabilmente lontana. Gus Van Sant gira con quella naturalezza e quella confidenza e vicinanza con i personaggi che gli conosciamo, ma non basta a salvare questa edificante predica. Confessione pubblica finale di Steve/Matt Damon che ricorda curiosamente quella di Denzel Washington in Flight. L’ammissione coram populo delle proprie colpe (anche solo presunte) è evidentemente un rito espiatorio assai americano. Chissà cosa direbbe il Theodor Reik del fondamentale saggio L’impulso a confessare.

Questa voce è stata pubblicata in cinema, Container, film, film in tv e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.