Il Padrino, Iris, ore 20,59.
Il vero grande romanzo americano del Novecento. Shakespeare a Little Italy. La mafia italiana diventa tragedia greca (e viceversa). S’è scritto di tutto di questo che è più di un capolavoro: uno dei vertici della storia hollywoodiana, un titolo epocale e proverbiale, regolarmente in testa a tutti i sondaggi sul più grande film americano di tutti i tempi (insieme a Citizen Kane di Orson Welles). Non ci si stanca mai di vederlo. Marlon Brando è Don Vito Corleone, nessuno potrà mai più esserlo dopo di lui. Una famiglia di affetti estremi e di odi e rancori. Nemici dentro e fuori casa, e dunque vendette, massacri, faide. È vero, come spesso si è detto anche in tono accusatorio, che Il Padrino grazie alla sapienza e alla potenza espressiva di Francis Ford Coppola ha mitologizzato la mafia. Non solo, ha ridisegnato i modi, gli stili della criminalità globale. Dopo questo film il crimine si è conformato all’immagine che ne ha dato il cinema (sarebbe capitato in seguito anche con Scarface di De Palma e la prima Piovra televisiva, quella di Damiano Damiani). Oscar obbligato a Marlon Brando. Al Pacino come Michael, l’erede al trono di sangue, diventa Al Pacino superstar. Adoro il personaggio di Kay, la moglie borghese-wasp di Michael, una Diane Keaton nella sua interpretazione assoluta (insieme a Io e Annie e Mr. Goodbar).
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