Il padrino parte II, Iris, ore 21,00.
La seconda parte della trilogia coppoliana che costituisce un pezzo grande del cinema americano, e non solo di quello. Raro che un sequel sia all’altezza dell’episodio fondativo, ma questo lo è, anzi c’è chi lo ritiene anche superiore. Io continuo a preferire il primo, più compatto, qualcosa che ha la perfezione e la potenza del mito, però niente da dire, questa parte seconda è immensa. Ha però una struttura più complicata e sfrangiata, costruita com’è intorno a due piani narrativi e temporali. Il primo è in realtà il prequel di quanto abbiamo visto nel Padrino, mostrandoci come Vito Corleone da povero emigrato dalla Sicilia diventa Don Vito Corleone, il boss di tutti i boss. Dunque, un racconto di formazione criminale di folgorante esattezza, con Vito ragazzo che incomincia come manovale del crimine a Little Italy e poi man mano sale ai vertici usando il cervello e le armi con pari perizia. Lo interpreta, anzi incarna, un Robert De Niro che con questo ruolo non solo si prende il suo primo Oscar (come miglior attore non protagonista), ma fonda la propria leggenda di Actor Maximo, e davvero vederlo qui è qualcosa che non si scorda. L’altro livello del film è l’esercizio e l’estensione del potere – siamo nei tardi anni Cinquanta – da parte di Michael Corleone, il figlio istruito e quasi borghese che nel primo film avevamo visto diventare erede dell’impero mafioso del padre Vito, ed è un Al Pacino gigantesco che duella a distanza con De Niro (i due non si incontrano mai). Qui i toni sono più di crudeltà shakespeariana, con guerre di potere interne ed esterne al clan, e un Michael Corleone più spietato che mai. Il limite, se si può usare questa parola per un film titanico come questo, è che le due narrazioni si sovrappongono ma non interagiscono. Però, signori, che film.
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