Il delitto Matteotti, Iris, ore 21,00.
Tipico prodotto della stagione di quel cinema civile e politico che investì i nostri schermi nei primi anni Settanta, tempo di battaglie intenso rosso. Un pezzo di storia del Novecento, il delitto Matteotti. Qualcosa che scosse il fascismo ancora giovane fino a causare la crisi dell’Aventino, ma che si concluse poi nell’affermazione del regime e nella sconfitta del parlamentarismo. I fatti, per sommi capi. Nel maggio del 1924 il segretario del Partito Socialista Unitario Giacomo Matteotti mette in discussione in parlamento l’esito delle elezioni in cui il partito fascista, già al governo peraltro dal 1922, conquista la maggioranza. Verrà sequestrato e assassinato. Ci sarà indignazione nel paese e alle camere, ci sarà la protesta dell’Aventino, ma il fascismo alla fine non solo ne uscirà indenne, ma consolidato. Il film di Florestano Vancini, del 1973, ripercorre puntigliosamente gli avvenimenti, e ci si chiede (ri)vedendolo se qualcosa in più si sarebbe potuto fare allora, se con altre tattiche e strategie politiche si sarebbe potuto mettere in crisi Mussolini. Cast da urlo, come solo in quegli anni si poteva mettere insieme. Franco Nero è Matteotti. Intorno a lui Mario Adorf (uno dei molti Mussolini dello schermo), Vittorio De Sica, Umberto Orsini, Gastone Moschin, Renzo Montagnani, Manuela Kustermann, Riccardo Cucciolla. E con il regista Damiano Damiani quale Giovanni Amendola. Un cinema probabilmente vecchio, logoro, obsoleto, collocato a distanze siderali rispetto al sentire contemporaneo, e però da rispettare, di alta professionalità. Certo, didascalico, anche predicatorio qua e là, ma oggi vien la nostalgia di un cinema così.
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