Quel pomeriggio di un giorno da cani, Iris, ore 23,14.
Un Al Pacino del periodo d’oro (1975), scatenato e bravo, anche troppo, diretto da uno che con la macchina da presa ci sapeva fare, Sidney Lumet. Film assolutamente Seventies, col suo ribellismo straccionesco, l’urlo dei reietti, la contrapposizione rozza tra poveri e potenti, la violenza incontenibile diventata malattia sociale. Due sfigati tentano una rapina in banca, ma si ritrovano la polizia fuori ad aspettarli. Prendono in ostaggio degli impiegati e incominciano a trattare. Subito la cosa si ingrossa, arrivano i giornali, le tv, la faccenda si mediatizza. I due balordi (Al Pacino e John Cazale) vengono seguiti in diretta da milioni di spettatori, scrutati e seguiti in una sorta di protoreality. Oggi quasi insostenibile, come molto cinema di quegli anni, però Al Pacino è monumentale e il film, davvero, a vederlo adesso ci appare come una profezia della realtà-spettacolo dei giorni nostri. Strepitosamente Seventies (e molto Gay Liberation Front) anche il movente che spinge Sonny/Pacino alla rapina: trovare i soldi perché il compagno possa farsi l’operazione di cambio di sesso.
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