Romeo e Giulietta di Massimo Coppola. Con Nino Smith, Mary Monrovich, Valerio Mastandrea, Massimo Coppola. Fuori concorso.
Docu su un tentativo di realizzare Romeo e Giulietta in un campo nomadi fuori Roma. Il guaio è che questo film ne contiene almeno cinque senza mai portarne a termine nessuno. Un po’ docu etnografico, un po’ cinema nel cinema. Restano alcuni momenti folgoranti, e la grazia dei due ragazzi che avrebbero dovuto recitare un Romeo e Giulietta che non si farà mai (o che, almeno, noi qui non vediamo). Voto 5
Ecco il primo film italiano sceso in campo a questo Locarno 68, e però fuori concorso, collocazione, in ogni festival, sempre vagamente ambigua. Di volta in volta, e a seconda delle opportunità, refugium peccatorum di film interessanti ma non abbastanza da meritare la gara o, al contrario, area di sicurezza e garanzia per film di autori già consolidati che non ci han voglia di correre e mettersi in gioco, o di autori ancora in via di consolidamento che finirebbero stritolati negli scontri gladiatori della competizione. E chissà in quale categoria si potrà incasellare questo poco convincente ancorché non banale docu-e-qualcosa (intendo, documentario fictionalizzato, o finzione documentarizzata, in un intreccio che da qualche anno dilaga ai festival) di 56 minuti girato in un campo rom dalle parti di Roma. Uno di quelli che le ruspe salviniane vorrebbero spianare onde restituire le periferie italiche, depurate e decontaminate da presenze estranee, al loro desolato anonimato strutturale monoetnico. L’idea, mi pare (siccome qua dentro ci sono almeno cinque film bonsai, e nessuno corentemente sviluppato) sia quella di girare un Romeo e Giulietta in un campo nomadi, tanto Shakespeare, e in particolare questa tragedia, ne ha già viste e sopportate di ogni, ogni adattamento e revisione possibili intendo. Dunque ecco il regista, immagino lo stesso Massimo Coppola, provinare ragazzi e ragazze adolescenti della comunità per scegliere i due protagonisti e i personaggi collaterali. Il guaio è che qui nessuno sa leggere decentemente, sì, fanno o han fatto le medie, ma son più i giorni che a scuola non ci vanno, e poi vengono da migrazioni continue da un paese all’altro, da una lingua all’altra, e quel che gli rimane addosso dalle scarse lezioni è tutt’al più uno stentato italiano. Chi poi sa leggiucchiare non sa ricordare manco le battute più semplici del copione. Finché solo dopo grandi fatiche si arriva a definire chi sarà Giulietta e chi Romeo. Arriva Valerio Mastandrea, spesso presente nelle produzioni indie romane di spirito solidale, a dare lezioni di recitazione al ragazzo di nome Nino. Se il film fosse questo, avrebbe un suo senso. E però divaga, si fa anche documentario etnografico, vien perfino montata una microcamera sulla testa di un ragazzino per catturare la vita quotidiana del campo (ma perché?). Ci sono anche squarci interessanti: sulla cultura tribale e maschiocentrica, sulle pulizie etniche in Bosnia. Ma allora, che cos’è questo Romeo e Giulietta? Quello del film è forse solo un pretesto per poter penetrare nel campo, un grimaldello per avvicinare e strappare le testimonianze di chi ci vive? Perché il Romeo e Giulietta in versione rom noi non lo vediamo. E allora, altro dubbio: che sia la cronaca di un film mancato per gli infiniti ostacoli sorti, dentro e fuori il campo? Insomma non si capisce niente, anche se singoli frmmenti restano folgoranti e/o bellissimi. La scena finale con Romeo e Giulietta che si scambiano qualche battuta faticosamente immparata è meravigliosa, i due ragazzi sono di una grazia che ricorda certo Pasolini, il migliore. E la testimoianza del rom scappato a suo tempo dalla Bosnia in guerra fa accapponare la pelle: “I Serbi hanno aspettato anni, pazienti, il momento di attaccare, come il lupo con le pecore, e poi hanno fatto quello che hanno fatto. Bambini di venti giorni buttati nei forni, o sbattuti contro i muri”. Peccato, un film di ottime intenzioni che non ne realizza nessuna e indeciso a tutto. A me un Romeo e Giulietta in campo nomadi non sarebbe dispiaciuto, solo che qui, semplicemente, non c’è. Sono il solo o quasi cui non è piaciuto. Alla proiezione stampa molti i consensi e perfino gli entusiasmi, è che la poetica degli ultimi e degli emarginati fa sempre presa.
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