Anomalisa, un film di Charlie Kaufman e Duke Johnson. Animazione in stop-motion. Voci di David Thewlis e Jennifer Jason Leigh. Concorso.
Dopo la pessima accoglienza a quel capolavore che era Synecdoche New York, Charlie Kaufman ci ha messo otto anni per smaltire lo smacco e tornare alla regia. Rieccolo con questo bellissimo Anomalisa co-diretto con Duke Johnson e girato in stop-motion. Un film che parte come una semplice storia d’amore e poi svolta in qualcos’altro rivelando, à la Kaufman, doppi e tripli fondi. Occhio agli indizi di cui la parte prima è disseminata. Voto tra il 7 e l’8

Charlie Kaufman
Era dai tempi del magnifico benché economicamente disastroso Synecdoche, New York che Charlie Kaufman non tornava alla regia. Otto anni gli ci sono voluti per rimuovere, metabolizzare lo smacco, per digerire la mala accoglienza da parte di pubblico e stampa a quel film smisurato, ambiziosissimo, titanico, uno dei vertici cinematografici della scorsa decade. Fai un capolavoro e neanche se ne accorgono. Sì, dev’essere stata bruciante la delusione. Credo proprio che Anomalisa, un piccolo film rispetto al gigantismo di quello, lo ripagherà, almeno in parte. Ha la dotazione giusta per diventare un successo e piacere alla gente che stacca il biglietto, non solo agli addetti ai lavori, e gli applausi forti ieri qui a Venezia sono un’ottima partenza. Geniale ma labirintico e contorto fino a perdersi qualche volta nel reticolo da lui stesso creato, Kaufman con Anomalisa centra il bersaglio scrivendo e dirigendo una storia all’apparenza di massima semplicità, una storia d’amore di quelle che toccano e smuovono lo spettatore. E che solo a poco a poco, e senza disturbare troppo, si complessifica e svela doppi e tripli fondi, che è poi – quello della stratificazione vertiginosa – il marchio di fabbrica del suo autore. Un piccolo miracolo, perché Kaufman ce la fa a non essere tortuoso e autoreferenziale come suo solito e a giocare invece di prima, pur rimanendo pienamente se stesso. Vincente anche la scelta di abbandonare il live action per l’animazione in stop-motion, con umani che, nonostante certe deformazioni-alterazioni volute (sono tutti più bassi e come schiacciati, nanizzati, con la testa enfatizzata rispetto al resto del corpo, e le facce sono come piallate), restano umani e nello stesso tempo acquistano un che di astratto e artificiale. Manichini perfetti per la dimensione del realismo fantastico in cui Kaufman vuole mantenere il racconto, che è poi chiarissimamente un apologo sulla massificazione. Co-dirige Duke Johnson, cui immagino sia stata affidata la parte tecnica dell’animazione, perché il film è assolutamente, indubitabilmente kaufmaniano. Trattasi di vicenda amorosa, una delle più belle degli ultimi anni, anche per via di dialoghi meravigliosamente calibrati che sembrano nei momenti più alti reinventare lo stesso linguaggi dell’innamoramento. Sceneggiatura da leggere e rileggere, e magari far studiare nelle scuole di cinema, che è il pilastro su cui si regge molto di Anomalisa. Michael Stone, sposato con figlioletto non di massima simpatia (“Che regalo mi porti papà?”), è diventato uno ricco e famoso scrivendo un manuale sull’autostima e su come ottimizzare le relazioni con gli altri. Quelle stupidate che regolarmente finiscono in cima alle vendita. Lascia Los Angeles per andarsene a Cincinnati (Sin-Sin-City, come la chiamerà un tassista) a tenere una conferenza su come intrattenere nei customer service il cliente all’altro capo del telefono. Scende all’albergo Fregoli (pronunciato Fregòli!), ma è sera, lui si sente solo, comincia a sentire le smanie del marito in libera uscita. Chiama una sua ex, e però l’incontro si rivela un disastro. Poi giù al bar, dopo aver ingurgitato un bel po’ di Martini, fa la conoscenza di due ragazze, due colleghe, che hanno letto il suo libro e lo ammirano. Michael resta colpito dalla più timida e bruttina delle due, Lisa, dalla sua voce. La invita in camera e gli ci vuole un bel po’ a convincerla perché lei, che non si è mai sentita desiderata e appetibile (“sono otto anni che non faccio l’amore, e l’ultimo uomo aveva sessant’anni, ci ha provato con me perché ero tra le poche che gli avrei detto di sì”) non ce la fa proprio a credere che lui la voglia davvero. Poi cede, e sarà una notte d’amore bella assai per tutti e due, e vi garantisco che il sesso in stop-motion di Anomalisa è, incredibilmente, tra i più convincenti, credibili e realistici (vedi la scena del cunnilingus) che il cinema ci abbia dato da parecchio tempo in qua. Ecco, è da questo momento che il film svolta e ci fa ritrovare in pieno il Kaufman che conosciamo. Già erano stati disseminati parecchi inizi sul fatto che quel viaggio da Los Angeles a Cincinnati e quell’amore nell’hotel Fregoli contenevano altro, si spalancavano su altre dimensioni, piste narrative, vertiginosi abissi. Tutti i volti, compreso quello di Michael, sono ricoperti da maschere che possono essere staccate a rivelare un sotto robotico e mostruoso. Tutte le voci dei personaggi femminili sono maschili, l’unica a parlare con voce di donna è proprio Lisa. E c’è un’omosessualità sottotraccia che riemerge in plurimi dettagli: il passeggero che in aereo prende la mano di Michael, il concierge che lo fissa estasiato. Segni di una realtà che non è quella che vediamo, ed ecco svelarsi in pieno il terrore di Michael, il suo incubo, quello che tutti gli umani siano uguali, e sotto le maschere ci sia sempre la stessa creatura, che tutti siano nient’altro che la replica dello stesso, dell’unico essere, che nel mondo domini l’identico e la differenza non esista. Tranne Lisa, per questo lei ha voce di donna, per questo Michael se ne innamora e conia il neologismo Anomalisa: Anomalia+Lisa. Riuscirà Michael a salvare la propria diversità e quella di lei? L’ultima parte, con una grandissima sequenza nel labirintico sottosuolo dell’hotel Fregoli, è cinema alla massima potenza. E quando il direttore grida a Michael “io ti amo” ci vengono i brividi. Perché capiamo che quell’amore è il grido dell’identico, è la negazione della differenza, è l’inganno di una nuova sirena, è l’ingoiare Michael e renderlo uguale agli uguali. Con questo film così semplice e così complesso, Kaufman ci fa rivivere gli incubi totalitari e di controllo delle coscienze del Novecento, suggerendoci che potrebbe di nuovo accadere, che il pericolo è qui e ora. E io ci ho letto pure, in questo film così concettuale eppure così dentro il reale, se non una critica, certo una forte perplessità verso l’attuale, trionfante gender culture o, se volete, verso l’omosessualizzazione neanche tanto strisciante dell’Occidente. Omosessualità, sembra suggerirci Kaufman (o è solo una mia impressione?), come ideologia dell’identico, dell’uguale e cancellazione della diversità. Altrimenti perché avrebbe dato voce da uomo anche alle donne? Ma forse sto attribuendo a Kaufman intenzioni che non gli appartengono, e quelle voci da uomo in corpo di donna sono solo una delle bizzarrie e dei congegni di spiazzamento cui lui ci ha abituati. (Lisa, che adora Cindy Lauper e l’italiano, a un certo punto canta Girls just want to have fun nella nostra lingua nella versione di Sarah Brightman!, pronunciando vogliono volìono).
Pingback: Venezia 72, VINCITORI E VINTI. Ottimo lavoro della giuria, Leone meritato a Desde Allá | Nuovo Cinema Locatelli