Much Loved (Zin li fik), un film di Nabil Ayouch. Con Loubna Abidar, Asmaa Lazraq, Halima Karaouane, Sara Elmhamdi Elalaoui, Abdellah Didane.
Quattro prostitute al lavoro a Marrakech, ormai una delle capitali del turismo di massa. Clienti che arrivano dall’Europa e soprattutto dai paesi del Golfo gonfi di petrodollari. Tutti sanno del mercato del sesso, l’importante è però non parlarne. Invece Much Loved rompe il patto e mostra e racconta. Un film di fiction con però parecchi aspetti documentaristici che ci rivelano una realtà sommersa. Censurato in Marocco. Regista e attrice protagonista processati per istigazione all’immoralità e costretti a girare sotto scorta. Voto 7
Capita ancora che un film diventi un caso, si faccia pietra di scandalo, sollevi polveroni, ponga questioni capitali, coinvolga e divida. Diventi occasione di una battaglia culturale. No, non in Europa, non più, chi mai volete che si scomponga e si indigni da queste parti?, niente ormai in Italia o in Francia o in Germania o in Spagna riesce a penetrare la corazza di indifferenza che tutti avvolge. Capita, è capitato, in questi mesi in Marocco con questo film marocchino (e in parte di produzione francese) presentato in prima mondiale lo scorso maggio alla Quinzaine des réalisateurs a Cannes. Lì applaudito (e però uscito senza premi), ma bloccato poi dalle autorità in patria, per essere precisi dal ministero della comunicazione che ne ha impedito l’uscita in sala in quanto costituirebbe “grave oltraggio ai valori morali e alla donna marocchina, e un flagrante attentato all’immagine del paese”. Tutto perché vi si racconta di tre prostitute (cui poi in corso di racconto se ne aggiunge una quarta), anzi diciamo pure puttane, che esercitano oggi a Marrakech, capitale del turismo nord africano e approdo di gente da ogni dove, Europa e Medio Oriente in testa. Dunque ottimo bacino di utenza e terreno di coltura per il mercato del sesso che però – siamo dopotutto in un paese islamico, anche se il meno fondamentalista e il meno lontano dalla sensibilità occidentale – si svolge nella penombra, rinchiuso nei ghetti delle ville-bordello e dei club, tollerato sì, ma a patto che non si esibisca sfacciatamente. Much Loved rompe il patto, mostra ciò che tutti sanno e conoscono ma che non si può dire, e dunque eccolo prontamente censurato. Non bastasse, un’associazione privata, la Défense des citoyens, ha denunciato e portato in tribunale il regista Nabil Ayouch e l’attrice protagonista Loubna Abidar per “pornografia, attentato al pudore e incitamento all’immoralità (débauche) dei minori”. Parte dell’opinione pubblica, quella più legata alla tradizione e all’osservanza delle regole religiose, si è scagliata contro il regista e l’attrice protagonista costringendoli a vivere sotto scorta. Un kulturkrieg a pieno titolo, combattuto sul terreno per noi ormai neutro e consunto dei costumi sessuali (e della loro rappresentazione), ma in terra islamica più che mai incandescente. Adesso che Much Loved è arrivato dalle nostre parti (onore a Cinema di Valerio De Paolis che lo distribuisce) risulta difficile commentarlo e giudicarlo per quel che è e si presenta di suo prescindendo dall’enorme carico che gli si è rovesciato addosso di film-scandalo, di film-bandiera contro l’oppressione e l’arretratezza culturale. Allora diciamo subito che non si tratta di capolavoro, che Much Loved ripercorre le più consolidate narrazioni intorno al mondo delle prostitute cadendo anche in non pochi cliché, che tutto sembra già visto e già sentito allo spettatore sgamato di molti film passati. E dunque via con la puttana fiera e tigresca che tira fuori gli artigli contro il mondo e gli uomini, ma poi in privato ridiventa una dolce creatura abbisognosa di coccole abbracciata alle sue bambole e ai suoi peluche. E poi: gli uomini che disprezzano la puttana in pubblico e la cercano in privato. Le famiglie che si vergognano ma poi incassano di nascosto i soldi passati dalla figlia o dalla sorella disonorata. Il sogno della prostituta di una normalità che sembra sempre lì a portata di mano e sempre sfugge. Il bisogno di rispettabilità, di essere accettate in società. Vengono in mente certi nostri cinemelodrammi anni Cinquanta-Sessanta, quando ancora da noi la sessualità era una forza tellurica capace di sconquassare famiglie e equilibri sociali e la puttana una figura dei margini, respinta e ostracizzata, titoli come La spiaggia di Lattuada (scritto dal grande Rodolfo Sonego) e il meraviglioso Adua e le compagne di Antonio Pietrangeli su un gruppo di prostitute che cerca di adattarsi al nuovo mondo dopo la chiusura dei bordelli decretata dalla legge Merlin. Per non parlare di Mamma Roma, con una Anna Magnani disposta a tutto pur di garantire un avvenire al figliolo e inesorabilmente punita dal destino. Si respira quei climi, quei dolori, quel senso di esclusione sociale in Much Loved, con una protagonista che per femminilità mediterranea e potenza carnale ricorda davvero un po’ la Magnani, ed è la meravigliosa Loubna Abidar che della sua Noha fa un personaggio che resterà, e di gran lunga la cosa migliore del film. È lei, Noha, la leader del piccolo gruppo di prostitute-amiche che vediamo in azione nella Marrakech della notte, la più decisa, la più lucida, anche la più ricercata e la più pagata. Nabil Ayouch ricostruisce attraverso Noha e le compagne (la quarta, Hlima, una ragazza incinta arrivata in città dal Marocco profondo si aggiungerà più tardi) un quadro assai verosimile della prostituzione nascosta ma non troppa in una città diventata ormai una calamita turistica. Con uno stile che sta tra il neo neorealismo e un vecchio verismo melodrammatizzato, con qualche compiacimento-voyuerismo di troppo, forse inevitabile in operazioni come queste dove nell’intento di denunciare si finisce inesorabilmente nello spettacolo della carne. Ma Much Loved è molto interessante non tanto per la sua lingua cinematografica, quanto per come penetra una realtà oscurata raccontandocela letteralmente dal di dentro. Occasione da cogliere al volo, perché questo è uno dei rari film nordafricani che siano riusciti ad arrivare nelle nostre sale negli ultimi anni, una preziosa testimonianza socioantropologica su un mondo come quello arabo (e islamico) che qui ci ostiniamo a guardare attraverso la lente deformante dell’esotismo-orientalismo, e più spesso del pregiudizio e dell’ignoranza dei fatti. E allora, quante cose si apprendono da Much Loved. Il film non tace niente della vasta gamma delle identità e dei gusti del sesso, e accanto alla trionfante e pure tronfia eterosessualità dei molti masculi paganti Noha e le altre ecco personaggi di transgender e travestiti, ecco una sottotrama lesbica tra una delle ragazze e una sua cliente, ecco un omosessuale che si trincera dietro la maschera del grande scopatore di femmine. C’è pure un ragazzino sì e no di dieci anni che racconta di come si prostituisce con i turisti europei. Con rigore documentario ci vengono detti i modi in cui la prostituzione si esplica, le finte feste nelle ville appartate che altro non sono che bordelli affollati di maschi pieni di petrodollari arrivati apposta dai paesi del Golfo. Son loro i clienti più ambiti dalle nostre protagoniste, perché pagano molto bene, meglio degli altri, e non rompono troppo le palle. “Sogno una notte con un arabo degli emirati pieno di banconote e col cazzo piccolo”, è il grido di una delle ragazze. Apprendiamo come il mercato del sesso si svolga anche nei club, e come il turista europeo, un tempo il cliente più ricercato, oggi sia alquanto decaduto nel ranking di gradimento delle puttane di Marrakech: “Gli europei? Vecchi e con pochi soldi, e tirchi”. Il che, ammettiamolo, è un colpo durissimo assestato all’orgoglio del nostro continente. Son questi passaggi a rendere indispensabile la visione di Much Loved, più che la sua fin troppo ostentata denuncia dell’inferiorità della condizione femminile in Marocco (e nei paesi arabi tutti). Che poi sia diventato un vessillo della resistenza culturale al rigido tradizionalismo islamista non è che una ragione di più per non perderselo.
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