Viva la sposa, un film di Ascanio Celestini. Con Ascanio Celestini, Alba Rohrwacher, Salvatore Striano, Veronica Cruciani, Pietro Faiella, Barbara Valmorin.
Non funziona niente, in questo Viva la sposa di Ascanio Celestini. Ai bordi di periferia si muovono Nicola e altri sconfitti dalla vita, con un che dell’Accatone pasoliniano e però, purtroppo, anche con un poeticismo parecchio datato. Tremendissima scena finale che schianta il film. Voto 4
La notizia è che tra i produttori ci sono i fratelli Dardenne, un sigillo di quelli che pesano. Forse il gran duo belga ha percepito in questa storia by Ascanio Celestini di derelitti e vite spezzate una qualche consonanza con il proprio cinema degli sconfitti. Eppure Viva la sposa con il sobrio neo-neorealismo dei Dardenne, con la loro pietas nascosta dietro lo sguardo dell’osservatore, non ha niente da spartire, e le parentele e le affinità son tutte di superficie, più attinenti ai contesti antropologici raccontati che al modo di farlo. Oltretutto Celestini stavolta toppa clamorosamente, consegnandoci uno dei film più deludenti – nel rapporto aspettative/risultati – degli ultimi tempi. Non funziona niente, ed è assai difficile capire il perché e ancora più difficile cercare di spoiegarlo (anche di spiegarselo, se è per questo). Spira dappertutto una certa affettazione autorialistica, a partire dalla scena iniziale con quella contorta citazione del Pinocchio collodiano (ma perché?), soprattutto mi pare manchi una lingua cinematografica a riscattare quel che magari a teatro funzionerebbe, ma che qui non aggancia mai la giusta tonalità. Francamente, poche volte mi sono annoiato in questi anni al cinema come con Viva la sposa. Sarà forse per quell’aura da desueto, vetusto realismo poetico che sembra avvolgere i personaggi, tutti sfigatissimi, tutti perdenti nel gioco della vita, e come figurine di una sacra rappresentazione sull’umana miseria dove ogni redenzione è bandita, pedine mosse dal destino all’interno di una scacchiera a loro inconoscibile. C’è un qualcosa dell’Accattone pasoliniano, e di Mamma Roma, solo che Pasolini non c’è. C’è, seppure abilmente dissimulato, parecchio sentimentalismo, e a mancare del tutto è invece uno sguardo fermo. Nicola è un alcolista che ogni giorno promette di smettere di bere, senza mai riuscirci e mai seriamente tentarci, ovvio. Di mestiere, se così si può dire, fa lo stralunato animatore di pomeriggi scolastici e festicciole di bambini, raccontando storie pacatamente fuori di testa. Intorno a lui un’umanità nel degrado che cerca come può di tenere almeno la testa fuori dalla melma, qualche volta riuscendoci e spesso no. Sofia, di cui Nicola è innamorato, vorrebbe correre in Spagna a cambiar vita ma resta lì, in quel quartiere-terra di nessuno ai margini di Roma. Sasà, che dal padre ha ereditato il lavoro di truffatore di assicurazioni mediante incidenti stradali provocati e simulandosi loro vittima. Salvatore, figlio della prostituta Anna, che Nicola è convinto sia suo figlio anche se di prove non ce ne sono. Un mondo di angeli caduti, e non per colpa loro, insozzato da alcuni demoni, da agenti del male che faranno scorrere nel corso della narrazione parecchio sangue. Tutto troppo programmatico e anche letterario. E poi, quell’americana che percorre l’Italia nel suo abito da sposa ripresa dalla tv, e che diventa agli occhi di Nicola, e non solo suoi, il segno di un sogno, di un altro mondo possibile, della bellezza, della fuoruscita dal degrado, in un simbolismo facile facile che ricorda ahinoi certi fellinismi (non di Fellini però) anni Sessanta-Settanta, compresa la sposa volteggiante del tremendo Underground di Kusturica. Tutto si svolge in una Roma ai bordi di periferia oggi, ma come in un tempo sospeso, da favola, da leggenda, da mito, ad accentuare la sconnessione da ogni realismo e la deriva nel poeticismo. Con la più brutta scena finale che io abbia visto da un bel po’ di tempo in qua (quella del bambino Salvatore allo specchio, e non dico altro). Da uscire dal cinema imbufaliti. Sorry, ma io a questo film non ce l’ho proprio fatta a voler bene. (Il padre di Sofia ha una salsamanteria, ed è una parola che non sentivo pronunciare da decenni, mi dicono che nel Centro Italia la si usa ancora, sarà vero?).
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