Al via il Torino Film Festival #33. Segnaletica per non perdersi nel labirinto dei 200 film

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'Suffragette', il film di apertura

‘Suffragette’, il film di apertura

Si comincia venerdì 20, con la cerimonia d’apertura al Lingotto (ore 21,00) presentata da Chiara Francini e successiva proiezione di Suffragette di Sarah Gavron con Carey Mulligan e Meryl Streep, film circondato da un qualche profumo di un qualche Oscar. Conclusione la sera di sabato 28 con la consegna dei premi. Un’edizione monstre, come piovre tentacolari sono ormai tutti i maggiori festival di cinema, gravati da una cifra spropositata di film in offerta che nessun spettatore, neanche il più malato di cinefilia, può umanamente smaltire. Che ci si chiede se non sia il caso di fermare questa corsa pazza al gigantismo e ai grandi numeri. Ma tant’è. Il TFF arrivato all’edizione numero 33 di film ne presenta quasi duecento disseminati nelle sue varie aree, contando oltre ai lungometraggi anche qualche decina di medio- e corto-metraggi. L’importante è saper scegliere. Ma anche la possibilità di scelta spesso si rivela un’illusione ottica, viste le sovrapposizioni nella stessa fascia oraria di più film interessanti che riducono di molto il libero arbitrio, anzi lo azzerano proprio, costringendoti a vedere quello che puoi vedere, non quello che vorresti. Già consultando il programma di venerdì pomeriggio viene il mal di testa, scoprendo con raccapriccio come ci siano in contemporanea quattro film tutti da non perdere, e ancora non ho deciso su quale puntare (dimenticavo di dire che sarò a Torino per tutto il festival). Il programma, ecco. Sterminato e strapieno, com’è nella tradizione del TFF (mica per niente il secondo cinefestival italiano dopo Venezia e, mi perdonino dalle parti della capitale, prima di quello di Roma), con spiccata propensione alla scoperta e al dissodamento del cinema di nuova generazione e di frontiera, che oggi vuol dire soprattutto ibridazione, meticciato tra diversi formati, linguaggi e generi (in particolare: narrazione+documentario). Il cuore resta il concorso, battezzato Torino 33, che assegnerà i suoi bei premi su indicazione di una giuria di cui fa parte anche il nostro Valerio Mastandrea (protagonista, anzi mattatore, di La felicità è un sistema complesso di Gianni Zanasi, a Torino in anteprima nazionale fuori concorso: non ne posso dir niente per via dell’embargo, però non aspettatevi un capolavoro). Nella competizione son 15 film, di cui ben quattro italiani, compreso Colpa di comunismo, storie di badanti venute dall’Est firmato da Elisabetta Sgarbi, e mi chiedo se non si sia esagerato con la quota nazionale. Tra gli altri che corrono mi sento di segnalarne due che ho già visto, il primo a Locarno (sezione Cineasti del presente) e il secondo a Cannes (Semaine de la critique), il belga Keeper e l’argentino Paulina/La patota. Keeper va al cuore di un tema assai sensibile, quello delle gravidanze adolescenti. Lei quindici anni, il fidanzato pure. E la domanda è: tenere o no il bambino? Ci saranno sviluppi inaspettati, e un finale amarissimo. Un film che è un altro dei preziosi regali del cinema belga di neo-neorealistica scuola Dardenne. L’argentino Paulina, che a Cannes ha vinto la Semaine de la critique, racconta lo stupro di una ragazza che ha lasciato la capitale per recarsi in una zona di massimo sottosviluppo a far lavoro sociale con i diseredati, e che da un gruppo di quei diseredati subirà violenza. Non così convincente, ma parecchio illuminante delle menti rimodellate e condizionate dall’ideologia. Impossibile rendere conto, anche sommariamente, dell’infinità delle altre proposte. Dico quel che ce la faccio a dire: affiche dedicata a Orson Welles nel centenario della nascita e tre suoi film in proiezione, Quarto potere, L’infernale Quinlan e Rapporto confidenziale. Non perdetevi quello che a mio parere è il film più bello di questo 2015, Cemetery of Splendour di Apichatpong Weerasethakul, il regista thailandese vincitore inaspettato qualche anno fa della Palma d’oro a Cannes con Zio Boonmee, tant’è che ancora molti dei frequentatori della Croisette non si sono ripresi dallo shock. E nemmeno si può trascurare Le mille e una notte numero 1, 2 e 3, la trilogia (per un totale di sei ore e mezzo) di uno dei nomi-feticcio del cinema avanzato dell’Europa d’oggi, il protoghese Miguel Gomes, lanciato con gran pompa alla Quinzaine des Réalisateurs lo scorso maggio e diventato immediatamente obbligatorio per ogni entusiasta del cinema (i tre film saranno anche a Milano in apertura della rassegna Film-maker che, assurdamente, comincia a Torino Film Festival ancora in corso. Ma non la si poteva spostare di qualche giorno?). In Festa mobile, la sezione più votata al largo pubblico, di roba ce n’è tanta davvero, comprese parecchie anteprime nazionali di produzioni di peso, a partire da Brooklyn di John Crowley, molto piaciuto al Sundance e dato in corsa per l’imminente awards’ season americana (per la protagonista Saoirse Ronan, nel ruolo di una ragazza irlandese che arriva nella NY fifties, si parla di probabile nomination all’Oscar). Non così comprensibile la presenza di un film medio prodotto da Weinstein come Il sapore del successo (Burnt), più comprensibile invece, vista l’indipendenza della produzione, quella di Me, Earl and the Dying Girl (sarà nei nostri cinema con l’assurdo titolo Quel fantastico peggior anno della mia vita), film bello solo a metà, la prima. Giusto che ci sia in programma pure uno dei titoli più disturbanti dell’anno, quel Nasty Baby (già visto alla Berlinale) che affronta la voglia di paternità di una coppia gay nella Brooklyn hipster secondo modi lontani dalla correttezza politica dilagante. Caldamente consigliato. Quanto al resto: godetevi la perfezione formale di The Assassin, il più bel wuxiapian degli ultimi anni, anzi un film che il genere wuxiapian se lo divora dall’interno, a firma del maestro taiwanese Hou Hsiao-sien, e occhio al russo Under Electric Clouds di Aleksej German Jr. (anche questo visto alla Berlinale), potente e allarmato ritratto della Russia d’oggi che non sfìgura al confronto con il per molti versi affine Leviathan. Io mi aspetto molto da Tangerine, un/una trans a Los Angeles a caccia del fidanzato traditore, dramedy firmato dal Sean Baker già regista del buonissimo Starlet visto a Locarno un tre anni fa, e che qui ha girato con l’iPhone 5S ottenendo una resa sbalorditiva. In cima alla scala delle mie aspettative metto, almeno per quanto riguarda Festa mobile, High-Rise del talentuosissimo britannico Ben Wheatley, quello che ci ha inquietato prima con Kill List poi con Killer in viaggio, e che adesso ha tratto da J.G. Ballard questo suo film che di sicuro non ci lascerà tranquilli. Mi metterò in fila anche per Antonia, biopic non convenzionale della già non convenzionale di suo poetessa milanese Antonia Pozzi, vissuta entre deux guerres e morta suicida. Lo ha realizzato Ferdinando Cito Filomarino con, mi pare, il supporto produttivo di Luca Guadagnino, e se ne dice un gran bene, anzi qualcuno ne parla come del miglior debutto italiano da qualche anno a questa parte. Vedremo. Sempre in Festa mobile il molto divertente e intelligente Comoara del rumeno Corneliu Porumboiu, già premiato a Cannes a Un certain regard; il restaurato felliniano Giulietta degli spiriti; il messicano Te prometo anarquia già visto a Locarno, un film alla Gus Van Sant nei barrios degradati tra passioni omo e sporchi traffici. E la proiezione della copia restaurato di un classico del sci-fi made in Italy, Terrore dallo spazio di Mario Bava, anno 1964. A introdurlo sarà un regista che lo ha adottato come culto personale, Nicolas Winding Refn, e i molti fan(atici) dell’autore di Drive già si preparano all’evento. Vado veloce su altre aree del TFF33. La retrospettiva Cose che verranno, intelligentemente dedicata ai film che hanno raccontato  e immaginato il futuro prossimo, perlopiù in forma di distopia. Con titoli leggendari come Arancia meccanica e Blade Runner, e rarità giustamente recuperate dagli anfratti della storia del cinema. Come un film che io vorrei rivedere assolutamente, Privilege di Peter Watkins, un prodotto anni Sessanta che ha anticipato The Wall dei Pink Floyd e molta roba cinematografica, incluso il recente Childhood of a Leader visto a Venezia Orizzonti. Il direttore-ospite quest’anno è Julien Temple, non proprio il mio regista di riferimento, con il suo ultimo film e alcuni titoli da lui scelti. Va meglio con Terence Davies, premiato alla carriera, di cui si proporrà il capolavoro Voci lontane sempre presenti, oltre al nuovo film. Poi l’horror e i suoi dintorni, cui il festival tradizionalmente dedica la sezione After Hours. Ci son dentro tra le altre cose il norvegese The Wave, ben piazzato nella corsa all’Oscar per il migliore film straniero, ricostruzione di uno tsunami che colpì negli anni Trenta le coste nordiche, ben tre film del prolifico (o incontinente?) giapponese Sion Sono e February, esordio alla regia del figlio di Anthony Perkins, Osgood, ed  è una notizia. Chissà perché ci hanno inserito anche The Forbidden Room che proprio horror non è, ma solo l’ultima follia in forma di film del canadese Guy Maddin, storiaccia di genere ri-raccontata secondo i modi e i moduli del cinema muto da paura. Qua e là assai godibile (visto alla Berlinale). Il resto è tutto da scoprire. Qualche volta apprezzando e perfino entusiasmandosi, qualche volta arrabbiandosi e smoccolando. Come succede a tutti i festival.

Altre cose sul Torino Film Festival in un mio pezzo pubblicato da Elle.it

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