Le ricette della signora Toku (AN) di Naomi Kawase. Con Masatoshi Nagase, Kirin Kiki. Preesentato lo scorso maggio a Cannes a Un certain regard. Adesso al cinema.
Ecco, scopriamo che l’AN altro non è che una speciale marmellata di fagioli rossi giapponese: quella che la protagonista, una compitissima vecchina, sa preparare come nessuno. Ma non è l’ennesimo food-movie, che non se ne può più. La regista Naomi Kawase ci racconta invece di un segreto, di un’esistenza complicata e di uno stigma sociale. Di vite letteralmente tagliate fuori. Si piange parecchio. Voto 6+
A Cannes sarà stato downgrading per Naomi Kawase? L’anno scorso la regista giapponese, assai amata (secondo me immotivatamente) dai cinefili d’alta gamma, ci era andata in concorso: vero, con un film insopportabile, ma pur sempre in concorso. E due anni fa stava addirittura in giuria. Quest’anno invece al venerato festival della Croisette e del Palais ha portato un film ‘solo’ nella sezione seconda Un certain regard (e però le è stato concesso l’onore dell’inaugurazione): questo AN, adesso nei nostri cinema come Le ricette della signora Toku che lascerebbe pensare a uno dei tanti, imperanti chef-movies, e invece no. Non ce l’ho fatta ad amarlo – il cinema di Kawase non è il mio cinema – e però devo dire per che AN è prodotto che funziona bene. Si piange come niagara, in una storia che, in puro Kawase style, mescola tracciati esistenziali difficili e sofferenti a una presenza incombente, e avvolgente e pure ingombrante, della natura. Miscelando fratture emozionali e sociali, in un virtuoso politicamente corretto ad alta intensità sentimentale. Il tutto in una visione che a noi sembra panica & new age, ma che probabilmente ha una qualche radici nella tradizione dello shintoismo nipponico. Ciliegi in fiore in indescrivibile quantità, rasentando il porno botanico. Una storia che solo a Kawase poteva venire in mente, quella di una vecchina bravissima nel preparar l’AN, la confettura dolce di fagioli rossi, e però – scopriremo più in là nella narrazione – malata di lebbra, una degli ultimi lebbrosi del Giappone, cui solo nel 1996 è stato permesso di lasciare i ghetti in cui erano stati confinati. Il film parte come uno dei tanti food-movie, solo più tardi apprenderemo il dramma di quella compita vecchia signora tanto brava in cucina e lo stigma sociale che si porta addosso. Edificante ma non così melenso (un po’ sì, ma insomma si sopporta). Se ci andate, portatevi una bella scorta di kleenex.
Nota: un medico mi ha fatto notare come i segni sulle mani della signora Toku, la protagonista, non sarebbero quelli della lebbra, ma semmai dell’artrite reumatoide. Chi sa dica la sua, grazie.
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4 risposte a Recensione: LE RICETTE DELLA SIGNORA TOKU. Lacrime e marmellata (di fagioli) giapponese