Mon Roi – Il mio re di Maïwenn. Con Vincent Cassel, Emmanuelle Bercot, Isild Le Besco, Louis Garrel. In concorso.Dopo Polisse, da una regista come Maïwenn ci si aspettava di più. Ma questo Mon Roi non è così brutto come l’han dipinto i suoi molti critici. Storia-rollercoaster tra un’avvocatessa e un ristoratore brillante, gaglioffo, traditore, millantatore. Un’adorabile canaglia Gassman-esque che Vincent Cassel rende benissimo. Voto 6 e mezzo
Cannes l’aveva lanciata qualche anno fa con l’assai bello Polisse, quest’anno il festival più grande che c’è ha provato a consacrare la signora Maïwenn quale regista di alta gamma mettendo in concorso questo suo Mon Roi. Operazione mica tanto riuscita. Film liquidato là sulla Croisette dai sussiegosi critici international perlopiù come una scioccherella romantic comedy alla francese e invece niente male, solo che non è quell’opera davvero importante che ci si aspettava, tutto qui. La lunga, travagliatissima, contorta storia tra l’avvocatessa parigina di futuro successo Tony (Emmanuelle Bercot, sì, la regista ma non interprete del film d’apertura di Cannes 2015, A testa alta, pure quello appena uscito nei nostri cinema: è il momento Bercot) e il ristoratore – mestiere coolissimo, si sa – Giorgio. Vale a dire un Vincent Cassel al massimo dell’istrionismo, con un che del migliore e più spudorato Vittorio Gassman. Un gaglioffo, un puttaniere sempre pronto a tradire e mentire, se necessario a truffare. Quando Tony lo incontra (s’erano sfiorato qualche anno prima) è subito sesso travolgente. Lui ha un’altra, e continua a tenersela, anche se sfacciatamente nega l’evidenza. Arriva un figlio chiamato, poveretto, Simbad, ed è e continuerà ad essere tutto un mollarsi e poi riprendersi e poi lasciarsi. Tutto un rinfaccio e adesso ti distruggo, ti rovino, per poi riacchiapparsi e scopare con gran godimento. E per dieci anni, mica due o tre. Troppo lungo – due ore e dieci minuti, mannaggia – però assai vispo, con parecchie idee e invenzioni, molto corporale, molto contemporaneamente girato con macchina prensile e nevrotica, gran ritmo cocainico, dialoghi-mitraglia benissimo scritti in quel francese sporco ormai dilagante. Cassel enorme, da premio per il migliore attore. C’è anche Louis Garrel, nella parte del cognato, ed è una presenza ectoplasmatica. Ma perché l’han chiamato per poi fargli fare così poco? Ottima l’idea del gruppo in riabilitazione post-traumatica che ciconda di affetto proletario Tony. Come moglie di Garrel c’è Isild LeBesco, che poi della regista Maïwenn è la sorella (la si è vista quest’anno anche in Una nuova amica di François Ozon, era la moglie precocemente dipartita di Romain Duris).
Nota: Bercot a Cannes ha poi vinto il premio di migliore attrice ex-aequo con la Rooney Mara di Carol.
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