In the Heart of the Sea, un film di Ron Howard. Tratto dal libro omonimo di Nathaniel Philbrick. Con Chris Hemsworth, Benjamin Walker, Cillian Murphy, Tom Holland, Ben Whishaw, Brendan Gleeson.
In fondo, è questo il film di Natale, altro che l’inerte e furbetto Star Wars numero 7. Il bello di In the Heart of th Sea sta nel (commovente) tentativo di riesumare il cinema d’avventura marina del passato remoto, quello degli Erroll Flynn e dei Burt Lancaster, raccontando la vera storia che avrebbe poi ispirato il Moby Dick di Herman Melville. Siamo nel 1820, da Nantucket parte la baleniera Essex, e l’appuntamento con il destino, e con il mostro bianco, sarà nell’estremo Pacifico. Purtroppo il regista Ron Howard confonde Storia e Romanzo, e confeziona un Moby Dick senza Moby Dick. Tanto valeva remakizzare Melville (e Huston). Ma forse ad allontanare questo film dal gusto medio di oggi è quel dar la caccia alle balene così poco animalista e greenpeace-style. Voto 6+
L’Ur-Moby Dick. La storia vera e fondativa successa suppergiù nel 1820 di una baleniera di nome Essex e del cetaceo-mostro bianco (insomma, pezzato come certe mucche alpine: così almeno ce lo mostra Ron Howard) che la inabissò, che avrebbe poi ispirato a Herman Melville il Grande Romanzo Americano che sappiamo. Epopea marina e marinara che sembra inventata e invece no, e ripescata dagli abissi della dimenticanza e dagli archivi da un libro del 2000 di Nathaniel Philbrick che immagino accuratamente redatto dopo lunghe ricerche su carte d’epoca. Il problema è che il film che ne ha tratto il probo e talvolta eccelso mestierante (vedi Frost-Nixon) Ron Howard sembra un remake approssimativo e sfuocato di Moby Dick, cadendo nel grossolano errore di riproporre la vera storia, e la Storia, come pura finzione e reinvenzione, con andamento e approccio altamente romanzesco. Senza buttarla né sul documentaristico né sul rigoroso-filologico, come il lavoro di Philbrick avrebbe richiesto. Sicché l’impressione è di assistere a un Moby Dick vorrei-ma-non-posso e un po’ farlocco che allora, ti dici, tanto valeva rifarsi coraggiosamente all’originale senza percorrere una strada così indiretta e contorta. Peccato, perché Ron Howard (e con lui Chris Hemsworth che si butta nella mischia con dedizione e energia) tenta di riesumare un cinema classico e glorioso ormai estinto, quello dell’avventura su onde e attraverso oceani che ci ha dato tutte le saghe piratesche (no, non quelle con Johnny Depp, se mai quelle con Erroll Flynn, Tyrone Power, Burt Lancaster) e le isole del tesoro e gli ammutinati e gli ammutinamenti dei vari Bounty. Onde enormi e perigliose, equipaggi in balia della natura scatenata, naufragi e salvataggi last minute, tempeste perfette e approdi in terre sconosciute. E, sotto la superficie dell’acqua, un mondo minaccioso e inconoscibile popolato di creature spaventevoli. C’è tutto, in questo In the Heart of the Sea. Howard attinge al repertorio del genere e ce lo ripropone completo in un atto d’amore e devozione al cinema come si faceva e come non si può più fare che resta la cosa migliore dell’operazione. C’è davvero un che di commovente in questo film così anomalo e lontano dai gusti correnti (e difatti il pubblico americano l’ha punito crudelmente con una manciata di dollari al box office), con il suo sapore di Natali al cinema-con-famiglia anni Cinquanta e Sessanta, con Howard che si conferma insieme allo Steven Spielberg del Ponte delle spie il regista oggi più consapevolmente classico e tradizionalista per la lingua cinematografica adottata, per i modi e lo stile. Charo che non poteva funzionare, e difatti The Heart of the Sea si avvia a essere una dei grandi disastri economici del 2015, con uno degli spread più elevati tra dollari spesi e dollari incassati. E però una visione se la merita, questa storia del poco più che bambino Thomas Nickerson arruolato a Nantucket come mozzo tuttofare sulla baleniera Essex. Dove a dominare sono i due maschi alfa, la cui rivalità segnerà parecchio i destini della nave. Da una parte il capitano George Pollard, nominato alla carica per appartenenza a una delle dinastie imprenditoriali ed armatoriali di Nantucket, dall’altra il fiero primo ufficiale Owen Chase (Chris Hemsworth, ovvio), il miglior cacciatore di balene su piazza ma troppo proletario per poter avere il comando. Il povero contro il ricco, il figlio del popolo contro l’aristocratico arrogante, il democratico contro il capo bastardo, in uno scontro di classe e di opposti machismi che ricorda tanto del cinema acquatico passato, in primis i vari Bounty. Con Chris Hemsworth a tratti meraviglioso nel rifare arditamente i leggendari eroi della tradizione, plasmando muscoli e psiche del suo personaggi sui modelli immarcescibili quanto remoti alla John Wayne. Chiaro che, come poteva accadere nel buio di un cinema parrocchiale anni Cinquanta-Sessanta, si tifi tutti per lui, e per il mozzo suo ammiratore e protégé con il quale scatta inevitabile l’identificazione di massa.
La spedizione dell’Essex a caccia di balene (il guadagno – si apprende – stava tutto nel riempire più barili possibili di olio di balena, che era poi lo sperma degli esemplari maschi, preziosissimo anche se non si è ben capito perché), prima nei Caraibi, poi giù giù nell’Atlantico fino a Capo Horn e poi nel Pacifico più estremo, vien raccontata dal mozzo Thomas Nickerson orami invecchiato al giovin scrittore Melville (Ben Whishaw, in una delle sue molte performance grande-schermo di questo 2015). Visti gli scarsi risultati dei primi mesi di navigazione, l’ambizioso e odioso capitano decide di portare la nave oltre ogni conosciuta isola del Pacifio dove si dice sia stato avvistato un gigantesco e terrorizzante esemplare, la grande e feroce balena bianca. Che apparirà anche alla Essex e al suo equipaggio, e sarà l’ordalia, l’armageddon, lo scontro decisivo, il giudizio di Dio. Seguiranno parecchie cose e cosacce, naufragio e deriva in mare con dettagli debitamente grandguignoleschi. Ron Howard usa con acume il 3D apparecchiandoci un disaster-movie marino denso di citazioni chissà quanto volute dello Squalo spielberghiano (che a sua volta si configurava come riduzione e adattamento alla modernità del Moby Dick melvilliano), dove cetacei mostruosi e muraglie d’acqua fanno il loro mestiere fino in fondo. Ma la magia ingenua dei vecchi avventurosi non si ripete, l’opera di riesumazione di quel cinema vetusto non poteva riuscire, e non riesce, nonostante gli ammirevoli sforzi di autori e attori. Purtroppo non aiuta la Cgi, e quelle panoramiche della Nantucket tutta ricostruita in digitale gridano vendetta e fan rimpiangere la vecchia truccheria dell’era degli studios. Anziché mettere in film lo storicamente accaduto romanzandolo sarebbe stato meglio rifarsi senza mediazioni tanto complicate il romanzo di Melville e coraggiosamente remakizzare, a molti decenni di distanza, il Moby Dick di John Huston con Gregory Peck. Resta, di In the Heart of the Sea, il sapore nostalgico, lo sguardo all’indietro verso la Hollywood com’era e non è più, e sta in questa sua inattualità, nel suo orgoglioso e perfino suicida tradizionalismo, la bellezza che lo salva dalla disfatta definitiva. E se bisogna scegliere un film di Natale, per Natale, allora che sia questo, altro che il nuovo, furbesco e inerte Star Wars. Pensiero molesto: non starà nel suo non-animalismo non proprio alla Greenpeace, nel suo mostrarci arditi balenieri che lanciano fiocine a squarciare pelli e carni di cetacei e coltellacci che tagliano e fanno a pezzi il motivo del flop presso il pubblico americano?
2 risposte a Recensione: IN THE HEART OF THE SEA, il vero film di Natale (e però: perché rifare Moby Dick senza Moby Dick?)