Festival di Berlino 2016. Recensione: HEDI (Inhebbek Hedi), un film tunisino che è una piccola rivelazione

201610522_1Hedi (Inhebbek Hedi), un film di Mohamed Ben Attia. Con Majd Mastoura, Rym Ben Messaoud, Sabah Bouzouita. Concorso.
201610522_2Tunisia, oggi. Hedi è un bravo ragazzo che sta per sposare una brava ragazza. Ma quando conosce Rim, animatrice in un villaggio turistico, capisce che la sua vita deve cambiare. Storia di un bamboccione (come si dirà in arabo-tunisino?) che diventa grande, per amore. Un piccolo film che racconta una storia universale e che potrebbe diventare un successo arthouse internazionale. Molto piaciuto qui a Berlino al pubblico. Entrerà nel palmarès? Voto tra il 6 e il 7
201610522_3Il primo film del concorso, e una piccola, buona sorpresa. Realizzato da un regista tunisino, girato in Tunisia, con una storia tunisina, e però coprodotto con capitali e suppporter variamente europei (ci sono anche i Dardenne, e il loro segno si sente e si vede), Hedi – dal nome del protagonista – è sì di quelle storie semplici e universali che fanno arricciare il naso ai cinefili tarantinati, ma vengono subito adottati e amati dal pubblico di tutte le latitudini. Se questo film se ne esce da Berlino con un premio potrebbe anche prendere quota e fare il giro di molti paesi e sfondare nel circuito arthouse. Un uomo e una donna e il loro incontro decisivo per tutti e due, qualcosa di visto, raccontato mille volte, e però sempre un formidabile modello narrativo in grado di autoreplicarsi e adattarsi ai più diversi mondi culturali. Un giovane uomo inerte se non torpido, intimidito dalla vita, non abbastanza temprato per uscire dal bozzolo protettivo, e insieme soffocante e castrante, in cui la famiglia e soprattutto l’autoritaria madre lo hanno intrappolato, deciderà di cambiare e di mettersi in gioco allorquando il caso lo metterà di fronte a una donna che finalmente merita il suo coraggio, il suo impegno. Un breve incontro casuale, dilatato a pochi e però decisivi giorni, e dal quale Hedi uscirà trasformato. Lui è di Kairouan, di una famiglia piccolo medio-borghese, padre defunto, madre che per troppo amore gli tarpa le ali, un fratello più macho e di successo emigrato in  Francia e lì ben posizionato. Come si dirà bamboccione in arabo-tunisino? Hedi bamboccione lo è, costretto a fare un mestiere che detesta e per cui è negato, il rappresentante di macchine Peugeot, mentre lui è un artista, disegna graphic novel punk-surreali che un giorno sogna di pubblicare. Mentre è in trasferta lavorativa a Mahdia, città di mare e di turismo (almeno di quel che è rimasto dopo le primavere e i successivi casini, attentati jihadisti compresi), in un albergo semivuoto e spettrale, conosce Rim, animatrice per le famiglie venute da Francia e Germania. Goffo approccio, e ancora più goffe le successive scuse di Hedi. E però con Rim subito a letto con gran godimento di entrambi e lui che finalmente sa cos’è il sesso e cos’è l’amore. Perché Rim è ragazza di usi e costumi europei, mica come Hedi, strozzato in un apparato familiare e professionale tradizional-borghese. Oltretutto di lì a due giorni deve sposarsi, la madre ha organizzato tutto, il fratello è arrivato dalla Francia per presenziare all’evento. Sposa di ottima famiglia, e perbene, ma così diversa da Rim. Sicché Hedi si trova di fronta al classicissimo bivio: scegliere Rim, andarsene con lei in Francia o sposarsi e restare in Tunisia? Il film procede nella sua narrazione piana, quasi elementare, e però con un gran senso della misura, con un rispetto per i suoi personaggi quasi alla De Sica, o alla Dardenne. Non succede niente di speciale e però succede tutto, il cambiamento improvviso di una vita. Il regista Ben Attia è molto bravo nell’evocare attraverso il suo microcosmo anche i macroproblemi della Tunisia là fuori, ma senza forzature predicatorie, senza affettare l’impegno politico. Però quel padre arrestato per tangenti, quegli accenni alla rivoluzione, quell’eterna ricerca del lavoro da parte di chi non ce l’ha e quei lavoro che invece ci sono sempre per chi fa parte della nomenklatura sopravvissuta alla caduta del regime, ci raccontano molto senza farcelo pesare troppo. Naturalmente liquidato qui a Berlino dai critici più oltranzisti come film di assoluta convenzionalità. Non lo è, è buonissimo cinema di illustri ascendenze. E assai pià stratificato di quanto non sembri nella sua linearità. La scelta di Hedi tra le due donne è anche, in fondo, e anche senza buttarla per forza sulla metafora, lo scontro tra tradizione e modernità nella cultura araba, oggi. Al pubblico è molto piaciuto. Io dico che un premio se lo potrebbe prendere.

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