Berlinale 2016. Recensione: BORIS SANS BÉATRICE. Ministra depressa con marito troppo piacione

201607356_3Boris sans Béatrice, di Denis Côté. Con James Hyndman, Simone-Élise Girard, Denis Lavant, Isolda Dychauk, Bruce La Bruce. Competizione.
201607356_2Una power couple canadese in caduta libera. Lei, ministra di massimo successo, è in depressione, lui, manager, non sa come risolvere la faccenda. Oltretutto è di quegli uomini che le donne gli cascano addosso. Ma un misterioso tizio lo perseguita, vule punirlo dei suoi peccati. Che è? Un processo al potere? Ambizioso, ma risultati scarsi. Con  un attore somigliantissimo a Pep Guardiola che potrebbe fare con questo film il suo balzo in avanti. Voto 5
201607356_1Dopo quella di Nichols, un’altra delusione forte è arivata dal concorso, dal film del canadese-québecois Denis Côté, su cui facevo afiodamento dopo aver visto un tre Berlinale fa (o quattro?) Vic+Flo ont vu un ours, bello e anche vincitore di un premio. Qui invece si moraleggia alquanto su una power couple canadese in caduta lubera da quando lei, ministra  dinon mi ricodoche cosa, è caduta in depressione dura, anzi nella malinconia come dice la sua colta e ambigua e smorfiosa terapeuta. Anzi catatonica, giacché non proferisce verbo e se ne sta distesa sul letto osservando il nulla. Lui, un manager in una fabbrica che a vederel sembra di nessuna importanza ma la sceneggiatura invece ci assicura che sì, è una cosa di massima importanza, è un bellone sui cimnquanta assai ben stagionato, magro e scattante, somigliantissimo a Pep Guardiola, stempiato come lui, barba bianco grigia tirabaci. Intrepretato da un attore mai visto ma che in canada dev’essere un divo, e che il regista feticizza mettendolo sempre in scena e accarezzandolo in ogni dove con la macchina da èresa vesito (è di queli alti e elegantissimi che stan da Dio con le divise e i completi scuri), semivestito, nudo parzialmente, nudo totale. Naturale candidato al premio come migliore attore, se non altro perché difficlmente in questa Berlinale ce ne sarà un altro che occuperà lo schermo più di lui. Si chiama James Hyndman e, se questo Boris sans Béatrice diventasse un successo (difficile) potrebbe anche ai suoi 50 anni diventare una star internazionale. Comuque: lui, Boris, ha portato la moglie nella casa di campagna – che è campagna-montagna canadese, quindi di massima selvaggeria, mica un qualsiasi Oltrepò – e le sta sempre vicino, e però, bello e piacione come’è, c’ha inevitabilmente un’amante di nome Helga, Perdipiù ha preso come badante dell’inferma una russa troppo giovane e carina di nome Klara, e indovinate un po’ che succederà tra loro? Finché si palesa un tizio, che è poi il Denis Levant di Holy Motors, un tizio misterioso che se la tira da giustiziere e raddrizzatorti e lo vuole tenere d’occhio, e pure lo minaccia in modi insinuanti: Béatrice soffre perché tu la fai soffrire, datti una regolata e tutto si risolverà. Altrimenti sarai punito dei tuoi peccati. Il nostro si sente in trapola, e si ritroverà processato in un processo che ricorda quello a Sordi in La peggiore serata della mia vita di Scola, tratto da La panne di Dürrenmatt. Non sto a dirvi altro, dico però che tanto accanimento contro il pur vanesio e piacione Boris (che di cognome fa Malinovski ed è di origini russe) non si giustifica, e che insomma c’è un difettaccio di scneggiatura e un sovradosagio in questo film di miralismo. Mica è un criminale, tutt’al pià uno scopatore compulsivo, e che sarà mai mio Dio? Era proprio il caso di accairsi tanto contro di lyu? C’è una coppia di non troppo simpatici attori gay roommate della figlia che si dividono in prova le parti di Oreste e Elettra. Con cameo stra-starcultistico del regista canadese Bruce LaBruce, autore di film gay assai autorialmente sporcaccioni, quale pimo ministro in visita alla ministressa depressa.  Non bastasse, la giovane badante e anche amante russa è Isolda Dychauk. Vista quale giovane protagonista del Faust di Sokurov. Tanti clin-d’oeuils al cinema alto non bastano però a Côté per salvarsi. Il suo film è irrimediabilmente artificioso, con evidenti ambizioni, non realizzate, di rifare certi classici del peccato, della colpa, dell’spiazione della letteratura grande-russa. E di metere sotto acciusa il pitere, oggi. Ma non funziona, e le goffaggini abbondano. Resta lui, il Pep Guardiola del cinema québecois. Potrebbe diventare strafamoso.

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