Berlinale 2016. Recensione: ALONE IN BERLIN. Un’anodina produzione internazionale rovina una piccola grande storia di resistenza al nazismo

_MG_0276.jpgAlone in Berlin, di Vincent Perez. Con Emma Thompson, Brendan Gleeson Daniel Brühl. Competizione.
Jeder stirbt für sich allein / Alone in BerlinPrimi anni ’40. La storia vera di due maturi coniugi tedeschi che, dopo aver perso il figlio in guerra, protestano e sabotano a loro modo il regime hitleriano: lasciando in giro per Berlino centinaia di cartoline con messaggi e slogan contro la guerra e il nazismo. Storia straordinaria da cui poteva venire fuori un grandissimo film. Peccato che se ne sia fatta una di quelle produzione internazionale senza sapore, girata in inglese con effetti paradossali e goffi, tipo AlexanderPlatz trasformata in Alexander Square. Un film di cliché e manierismi come non si può più fare. Voto 4Jeder stirbt für sich allein / Alone in BerlinQuel che si temeva:  una produzione internzionale anodina e insapore che sacrifica in nome della vendibilità globale ogni specifico etnico, culturale, antropologico. Perché quella che racconta Alone in Berlin è una storia profondamente tedesca, e invece qui si parla inglese (oltretutto con goffo accento tedesco), i due atori protagonisti sono inglesi, il regista francese. Sicché il senso di artificio, di irrealtà, di film apparecchiato e pettinato è altissimo, insostenibile. Con cose che gridano vendetta al cospetto di Dio, AlexanderPlatz che nei dialoghi diventa Alexander Square e Stadmitte trasmutata in Downtown. Mi sono indignato io che sono italiano, chissà i berlinesi che erano alla proiezione. Peccato. Perché il gran libro i Hans Fallada (l’autore di E adesso pover’uomo?) da cui il film deriva – Ognuno muore solo, edito in Italia da Sellerio – racconta di una storia vera, un caso di piccola, privata ma tenace resistenza al nazismo nella Berlino dei primi tempi della guerra. Uno dei pochi casi che si conoscano di gente che disse no al regime e cercò di opporsi. Una coppia piccoloborghese, Otto e Elise Hampel, perde il giovanissimo figlio sul fronte francese, i due decideranno di protestare e sabotare il regime a loro modo, e come gli è possibile, lasciando in giro per la città cartoline firmate Freie Presse (stampa libera) con messaggi, slogan antihitleriani e incitamenti a non cadere nella trappola della propaganda. Sarà Otto ad agire, Elise gli farà soprattutto da braccio destro e copertura. Riusciranno per tre anni a distribuire quasi trecento cartoline. Ma verranno catturati, processati, giiustiziati (conb la francesissima ghigliottina!). Storia straordinaria di gente straordinariamente qualunque da cui si sarebbe potuto tirar fuori un grandissimo film. Invece qui siamo al solito bozzettone di maniera, con svastiche in overdose, tutto un berciare heil Hitler a proposito e a sproposito, con i nazisti regorlarmente ridotti a ridicoli per quanto feroci pupazzoni. No, bisogna cambiare i codici di rappresentazione di quel tetro periodo, di quella tragedia, spezzare i cliché, reinventare stili, modi e linguaggi. Sabotare il nazimovie e sottrarlo alla maniera per restituire verità e dignità alle storie e a chi le ha vissute. Brendan Gleeson e Emma Thomson sono bravi, e lui in particolare, ma niente possono contro la balordaggine dell’operazione.

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