Berlinale 2016. Recensione: CROSSCURRENT, dalla Cina un film ambizioso, imperfetto e potente

201614160_2Chang Jiang Tu (Crosscurrent) di Yang Chao. Con Qin Hao, Xin Zhi Lei, Wu Lipeng, Wang Hongwei, Jiang Huali. Cina. Competizione.
201614160_5Amato e odiato. Il film più divisivo del concorso arriva dalla Cina, raccontando di un giovane uomo che con la sua chiatta risale, porto dopo porto, l’immenso Yang Tze. Villaggi fantasma, citazioni buddiste, antichi poemi declamati, una ragazza che scompare e ricompare, strani sortilegi, fantasmi. Si rischia di perdere la pazienza di fronte a un simile rompicapo, ma le immagini sono così belle e potenti che a questo film non si può resistere. Voto tra il 6 e il 7
201614160_3Dalla Cina è arivato in concorso uno dei film più divisivi e inafferrabili del festival. Con impresso il marchio del capolavoro annunciato (come a Venezia un altro cinese, Behemoth), ma che ha finito col suscitare più dissensi che entusiasmi. In sala c’erano anche le giurate Meryl Streep e Alba Rohrwacher, e chi stava loro vicino assicura che la faccia della plurioscarizzata Meryl non esprimesse massima sodisfazione. Vedremo se Crosscurrent finirà nel palmarès. Certo che un film così fa di tutto per allontanare pubblico, stampa, giurati, addetti ai lavori, gonfio com’è di ambizioni autoriali, citazioni buddiste, brani di antichi poemi cinesi. Il tutto in un andamento lento, maestoso, ipnotico. Con una linea narrativa frastagliata e incomprensibile, personaggi che scompaiono, nel senso che muoiono, per poi riapparire, come in una ghost story orientale alla Apichatpong. E una certa pososità di chi è convinto di stare trafficando con l’Arte, ed è la cosa che più dà fastidio. Si capisce poco, quasi niente, ma si resta ammaliati dalla fotografia più bella di questa Berlinale, che restituisce come mai s’è visto, probabilmente grazie all’uso della vecchia pellicola, i paesaggi del grande fiume Yang Tze e delle sue rive. Un giovane uomo che ha ereditato dal padre da poco defunto una chiatta di trasporti risale il fiume toccando a uno a uno tutti i porti, in compagnia di un giovane mozzo ribelle e di un vecchio. Ed è impossibile non pensare all’Atalante di Jean Vigo, anche se qui il clima è più tetro e meno vitale. Conoscerà una ragazza meravigliosa (di quelle bellezze perfette da fashion magazine, ed è una delle cose stonate del film), faranno l’amore, ma lei scapperà, forse morirà. La ritroverà però in ogni porto, o forse è un’altra ragazza, forse è uno spettro, forse una proiezione del desiderio del giovane uomo. Si visitano templi e villaggi fantasma, si resta intrappolati in anse pericolose, si attraversa la grande diga delle tre gole. Che cos’è? Un viaggio psichico? Un percorso di iniziazione? Un itinerario religioso in cerca di sé? O una corsa verso la morte? Gran parte di quel vediamo e sentiamo resta oscuro, inesplicabile, e però a un film così potente, e di una visualità così grande da possederci, non si può non volere bene, nonostante tutto.

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