Gilda, Rete Capri (canale 20 dt), ore 21,00.“Gilda, sei presentabile?”. E lei, rovesciando la testa e mostrandoci una clamorosa cascata di capelli: “«Io? Lo sono più del necessario!». E fu subito, detto senza esagerazione alcuna, leggenda. Anno 1946: nell’America appena uscita, come mezzo mondo del resto, dalla guerra, Gilda – ovvero Rita Hayworth – conquista tutti. Mélo di amore-odio, ma più il primo del secondo ovvio, tra lei e il guardiaspalle Johnny del losco marito. I due si devon essere già conosciuti, già amati e abbondantemente odiati in passato, anche se non capiamo cosa sia successo davvero, e quando il marito di Gilda scompare si rimettono insieme, si sposano. Ma è ‘na sofferenza continua, lei fugge, lui la insegue. Un tormento. Nonposso starti né lontano né vicino. Ma il plot non conta granché, conta per quanto del delirio amoroso ci sa restituire, per gli abissi di ambiguità e non detto che spalanca, per la sua storia sconnessa e come febbricitante frutto di coscienze alterate e menti e cuori impazziti. Una proiezione onirica, mitologica, dove tutto è funzionalizzatio e finalizzato alla costruzione della dea Gilda/Rita Hayworth, destinata a essere tra le creatue più famose e resistenti della storia del cinema. Lei che canta e balla (insomma, ancheggia) mentre si sfila i guanti, scena iconica che si è impressa nelle menti globali e non è più andata via, e tuttora rifatta da nugoli di female impersantor. Due canzoni come Amado mio e Put the Blame on Mame, e la prima così persistente che se vai sul metrò trovi ancora oggi uno tzigano che te la suona col suo tzigano violino. Questo è il cinema, ecco. Con Glenn Ford nel film che lo marchiò per sempre. Di Charles Vidor, da non confondere con King.
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