Il film imperdibile stasera in tv: LA DONNA CHE CANTA (Incendies) – dom. 6 marzo, tv in chiaro

La donna che canta (Incendies), Rai Storia (canale 54 dt), ore 21,34.
419190_383111858428150_144389389_n166610_123630574376281_7479687_nUn mio personale cult, un film che adoro anche oltre ogni ragionevolezza. Quello che ha imposto tra 2010 e 2011 all’attenzione di pubblico, stampa, addetti ai lavori (con tanto di candidatura all’Oscar guadagnata nella categoria miglior film in lingua straniera: in questo caso il francese) il canadese-québecois Denis Villeneueve, uno che poi si farà largo anche nel cinema hollywoodiano con Prisoners e il più recente e assai bello Sicario. Autore come ipnotizzato dal male al lavoro, Villeneuve, e con una speciale abilità, si direbbe una vocazione, nel trasmetterci climi torbidi, malsani, dove si agitano uomini e donne posseduti da forze più grandi e come giocati, sovrastati dal destino. Incendies (preferisco il titolo originale a quello, pur non male, italiano La donna che canta) è film difficilmente assimilabile ad altri anche se prende a prestito qualcosa dal mystery, dalla detective story, dal mélo, è la riemersione del tragico, e anche della tragedia greca, nel secolo breve, nel dannato Novecento delle guerre, dei massacri su vasta scala, della pietà l’è morta. È un film che non ha paura di raccontare e dire l’indicibile, che non arretra di fronte all’orrore e anzi te ne spalanca la visione, il che è esattamente il contrario del cinema dominante e anche della cultura dominante della dolcificazione e dell’attenuazione di ogni asperità. Tratto da una pièce teatrale del drammaturgo canadese di origine libanese Wajdi Mouawad, la ripercorre fedelmente, e però ne accentua attraverso il cinema la vertigine, ne allarga esponenzialmente l’abisso togliendole quella fissità di sacra rappresentazione che poteva avere a teatro per scagliarla in un iper realismo di carne, sangue e ogni possibile fluido corporeo. Sconvolgente, e non si esagera. Montréal. Jeanne e Simon sono gemelli, la loro madre, Nawal, immigrata a suo tempo dal Libano, è appena morta. Aprendone il testamento, il notaio comunica loro la sua ultima volontà, consegnare due lettere, una al padre che loro credevano morto in guerra e invece no, una al fratello di cui non hanno mai saputo l’esistenza. Un incipit da feuilleton ottocentesco (ebbene sì, c’è anche questo in Incendies, e non è l’ultima ragione del suo fascino). Jeanne parte per il Libano, e comincerà la sua ricerca dei destinatari delle due lettere, ritrovandosi a dipanare a poco a poco la storia della madre, quanto le successe ai tempi della guerra civile, quella in cui si contrapposero ferocemente cristiani maroniti e musulmani. Tutto comincia con Nawal, cristiana, innamorata di un musulmano. Le verrà impedito di sposarlo, e comincerà la sua odissea tra gli orrori. Comincerà con un attentato a un potente delle milizie cristiane, proseguirà con la detenzione in un carcere luridissimo e disumano. Finché si scoperchierà una verità semplicemente impensabile, che obbligherà i due gemelli a riconsiderare la popria identità e anche il proprio essere nel mondo. Nessuno si salva, in questo film feroce e disincantato, nessuno può ergersi a incarnazione del bene. Un film che si snoda secondo lo schema della detection, della ricerca di ciò che sta sepolto, e disseminato di twist, colpi di scena, rovesciamenti, attraversamenti da un campo all’altro. La guerra civile libanese degli anni Settanta e oltre come luogo dove l’umano viene meno e riemerge il belluino, dove la ferocia del Novecento raggiunge uno dei suoi vertici, una guerra sezionata e analizzata attraverso una storia privata che è la storia di tutti. Se non l’avete visto, non perdetevelo assolutamente stasera.259436_155007604573214_3765258_o

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