L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci, Cielo, ore 21,15.
Piovvero nove Oscar su Bertolucci per questo suo The Last Emperor, enorme successo ovunque e il più grande della sua carriera dopo Ultimo tango a Parigi. Estenuato melodramma sulla decadenza dell’impero cinese mentre ormai stanno arrivando i nazionalisti e, appena visibili dietro di loro, i comunisti di Mao. Il tutto visto attraverso infanzia, giovinezza e maturità dell’ultimo malcapitato imperatore, Aisin Gioro Pu Yi, uomo abbastanza inetto travolto da eventi e persone più grandi di lui. E usato come quisling dai giapponesi invasori. Quel che attira Bertolucci è in tutta evidenza il sapore decadente e vagamente malato della vicenda. Confezione scintillante, il bertoluccismo al suo massimo tra sete rosse e dorate, città proibite, dragoni fimmeggianti e quant’altro. Un po’ di eros di orientale perversione e raffinatezza. Sontuoso ma, come spesso accade al regista parmigiano, drammaturgicamente molle, registicamente poco energico. Quel che diverte e convince di più è questo suo rifare consapevolmente i kolossal della Hollywood di una volta, come 55 giorni a Pechino, ma con lo sguardo e il gusto di un autore europeo.
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