Scandalo internazionale, Rete Capri, ore 21,00.
Uno dei film meno visti e più in ombra – fin quasi alla rimozione, alla cancellazione – di Billy Wilder, eppure magnifico, quintessenzialmente wilderiano. Anche, uno dei grandi film sulla Germania-Austria sconfitte e in rovina dopo la seconda guerra mondiale, insieme a Germania anno zero di Rossellini e Il terzo uomo di Carol Reed. Del 1948, Scandalo internazionale (A Foreign Affair), ci mostra la Berlino immediatamente post-bellica, tedeschi che si muovono nella città distrutta cercando di sopravvivere come possono, soldati americani occupanti. Cortocircuito tra i due mondi, con ambigui scambi di affetti, sesso, denaro, borsa nera e quant’altro di losco, anche allegramente losco, possa esserci in una simile devastazione. Sicché per vigilare sulla dirittura morale delle truppe americane sempre tentate dalle sirene berlinesi arriva una commissione parlamentare da Washington, con una giovane deputatessa repubblicana di assoluto rigore e irreprensibilità intenzionata a stroncare ogni debolezza, ogni cedimento. Si troverà immersa e avvolta in un’atmosfera di massima ambiguità, con militari Usa amanti di donne perdute, traffici di ogni genere, e il kabarett, sì signori, il kabarett fumoso che sembra arrivare direttamente dagli anni Venti weimariani prima dell’Apocalisse, naturalmente ancora e sempre luogo di perdizione. La sirena di tutte le sirene è Frau Erika von Schlütow, Marlene Dietrich, chi se no? chi più di lei femme fatale e dark lady?, che si dice sia stata la donna di un gerarca nazista e ora tornata a cantare e sedurre e ammaliare in un locale di notte, e amante di un americano invasore e occupante. La deputatessa verrà inghiottita in questo universo parallelo e nelle spire della maliarda e dei suoi giochi, e sarà per lei l’iniziazione alla vita, quella vera degli istinti basici e bassi: l’attrazione erotica, la spinta primordiale alla sopravvivenza. Amo alla follia questa film, in cui Billy Wilder mette in scena da expat a Hollywood qualcosa che conosce molto bene, l’eterno scontro-confronto tra America giovane, puritana e forte, e vecchia Europa corrosa dai suoi fantasmi e dalle sue tare, eppure custode dei grandi segreti del godimento, dell’arte del piacere e di tutti i piaceri. Una commedia nera in cui Wilder, nel mentre ci fa ridere, ci porta sull’orlo dell’abisso e ce lo fa contemplare. Un film che è anche lotta di due dame, l’americana caruccia e perbene Jean Arthur, e Marlene. Una Marlene che in questo film è (anche) se stessa, è la Grande Tedesca iconizzata e totemica, una delle grandi incarnazioni della Germania del Novecento, ed è ancora e sempre il proprio personaggio cinematografico ormai quasi alter ego: l’angelo del male, la cantante di kabarett dell’Angelo azzurro arrivato dritto dal cinema Ufa dell’era di Weimar prenazista. Ma qui, ambiguità somma, Marlene Dietrich, la tedesca più antinazista che ci fu, incarna anche, con la sua Frau Erika von Schlütow compromessa col nazismo, la Germania che era stata hitleriana. Scandalo internazionale è lei, cosa volete che sia Jean Arthur se non la figuretta convenzionale che, per contrasto, fa risaltare ed esalta la sua antagonista? Quando poi Dietrich canta Black Market ogni nostra resistenza è vinta, definitivamente. Peccato solo per il finale, costretto forse per esigenze produttive a rimettere al loro posto il Bene e il Male.
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