(al cinema) recensione: UN PAESE QUASI PERFETTO. Fabio Volo è il nuovo Pozzetto? Filone Nord V Sud ormai esaurito

foto-un-paese-quasi-perfetto-14-lowUn paese quasi perfetto, un film di Massimo Gaudioso. Con Silvio Orlando, Fabio Volo, Miriam Leone, Nando Paone, Carlo Buccirosso, Maria Paiato.
foto-un-paese-quasi-perfetto-20-lowfoto-un-paese-quasi-perfetto-24-lowTutto cominciò con i clamorosi incassi di Benvenuti al Sud. Da allora lo scontro Nord V Sud si è consolidato come un cinegenere a tutti gli effetti. Un paese quasi perfetto ne è l’ultimo e un troppo tardo esempio. Anche qui, come nel capostipite, c’è un milanese scagliato in un paesino del Meridione più profondo. Sarà shock all’inizio, poi però scoprirà la dolcezza del vivere. Il guaio sono i troppi cliché, un filone ormai esaurito e i ritmi blandi del racconto. Fabio Volo sempre più neo-Pozzetto. Voto 4 e mezzo
foto-un-paese-quasi-perfetto-27-lowIl guaio di questo film è che arriva troppo tardi, a filone (cinematografico) Nord versus Sud ormai esausto per sfruttamento troppo intensivo. Anni e anni, anche di incassi clamorosi, di un genere che, a partire dal capostipite e modello Benvenuti al Sud (ottimo), ha germinato titoli come Benvenuti al Nord (pessimo sequel), La scuola più bella del mondo, Un boss in salotto, mica per niente tutti dello stesso regista Luca Miniero. L’idea, inizialmente brillantissima, è stata di contemporaneizzare l’eterna differenza, vera o presunta, e i relativi antagonismi – di valori, modi, vizi, vezzi, stili di vita, culture e sbculture, weltanaschuung – tra terroni e polentoni, per usare i termini spregiativi coniati chissà quando dall’una e l’altra parte per stigmatizzarsi reciprocamente. Film che sembrano dirci come, al di sotto della patina della ipermodernità, del finto multiculturalismo, della globalizzazione e della morte apparente del localismo – i pregiudizi incrociati continuino a prosperare, e vigorosamente. Film anche che hanno abilmente dato voce e immagini a quella spaccatura epocale verificatasi nel nostro paese dalla fondazione, e dalla fortuna politica, della Lega Nord (cui è corrisposto al Sud, sebbene con forme politiche più sommesse e assai meno esplosive e di massa, un movimento neoborbonico, antinordista e antirisorgimentale). Umori e malumori che il filone Benvenuti al Sud ha saputo intercettare volgendoli e addomesticandoli in commedia, con accento più meridionalista che settentrionalista. Un paese quasi perfetto giungendo ultimo non può che replicare i cliché consolidatisi nel frattempo e nel lungo uso del modello narrativo. Vedo che Massimo Gaudioso, qui mi pare al suo primo lungometraggo da regista, è nome fondamentale nella messa a punto e nello sviluppo dello stesso modello, essendo stato co-sceneggiatore di Benvenuti al Sud e La scuola più bella del mondo. Oltre che di parecchi film di Matteo Garrone, da L’imbalsamatore a Gomorra, Reality e Il racconto dei racconti, dove immagino abbia portato una conoscenza diretta dell’antropologia e della diramazioni e connessioni culturali del nostro Sud. Eppure Un paese quasi perfetto è esausto, stanco, pallido, e forse non solo perché arrivato troppo tardi, fors’anche per una carenza di energia, di propulsione interna. Di una vera necessità. Come se la spinta a rappresentare in forma bonaria le spaccature e le contrapposizioni di un paese lacerato e divelto nel suo profondo si fosse a sua volta esaurita o avesse imboccato altre strade, come se quelle rabbie e quei reciproci rinfacci e mugugni tra polentoni e terroni oggi si esplicassero altrove, alimentassero altre rivolte, per esempio l’antipolitica. O si riversassero su nuovi e comuni bersagli come gli immigrati. Si ripesca da Benvenuti al Sud l’idea di un milanese – là era Claudio Bisio, qui è Fabio Volo – strappato alla sua routine per essere scagliato in un lembo estremo di Meridione, in un paese-presepe bello e antico, come fuori dal flusso del tempo e della storia. Dove trova come suo contraltare e antagonista il sindaco del villaggio. La storia è una somma di cliché. Pietramezzana, tipico paese-mio-che-stai-sulla-collina, anzi accucciato sotto quelle megasculture naturali dette Dolomiti lucane, è in crisi nera da quando è stata chiusa la locale miniera (non è che magari là sotto c’è il petrolio, come in altre zone della regione? ambientalisti permettendo naturalmente). Molti se ne vanno, chi resta vive di cassa integrazione, cosa giustamente considerata umiliante, perché è assai meglio, oltre che per il portafogli pure per la dignità personale, un reddito da lavoro sudato di una regalìa. Però ecco la notizia. Un’azienda del Nord vorrebbe aprire una fabbrica che darebbe lavoro a tutti. A una condizione, che al paesello ci sia un medico di base (ma perché? ma per quale regolamento? insomma mi pare che l’idea sia alquanto debole). Peccato che il medico non ci sia, e allora ecco che il neosindaco dalle mille idee Domenico si sbatte perché arrivi qualcuno a occupare il deserto ambulatorio locale. Accetta, o è costretto ad accettare, un chirurgo estetico milanese cui son capitati parecchi guai e che ha tutto l’interesse a cambiare aria per un po’. Tale Gianluca Terragni, tipetto tutto sushi e happy hours e, si presume, abbondante uso e abuso di coca, insomma il milanese sborone d’oggidì. Che ovviamente giù in Lucania (e mi viene in mente Rocco e i suoi fratelli che ho appena rivisto in versione restaurata, con quell’indimenticabile scambio di battute tra la portinaia  e una delle condomine a commentare l’arrivo della famiglia Parondi coi suoi fagotti: “Ma da dove vengono? “Dalla Lucania! Affrica”) si sente come mandato al confino. Poi, come esige l’inesorabile canovaccio del genere, man mano scoprirà che quella vita archeologica e immobile nel tempo ha i suoi lati positivi, il cibo, la genuinità delle cose, dei sentimenti, della gente, e via dilagando con gli stereotipi. La freddezza e il grigiore della modernità nordica, anche della ragion nordica, contrapposti alla vitalità e alla gioia di vivere primigenia del Sud. Con ovvii effetti comici scatenati dallo scontro tra diversi modi di vivere e valori. Il problema è che le trovate sono macchinose o non freschissime. Come la squadra di cricket finta (chissà perché il milanese è appassionato di quel noiosissimo sport) o gli equivoci sul sushi (ancora!). Silvio Orlando fa un po’ fatica a portarsi addosso il macchiettone del sindaco. Fabio Volo, un filo stondato, fa Fabio Volo, ma ricorda sempre più con la sua calata lombarda Renato Pozzetto, di cui qui ha anche la placidità. Non però la vena surreal-anarcoide. Nando Paone e Carlo Buccirosso sono ormai presenze totemiche del filone Nord V Sud. Miriam Leone è bella, bellissima.

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