King Kong, Rete Capri, ore 21,00.
La storia che è già mito moderno del gigantesco scimmione e della bella da lui rapita laggiù, in una remota isola rimasta allo stadio primordiale. Lo inseguono i bianchi (abbastanza cattivi) arrivati da quelle parti a girare un film. Lo catturano sparandogli addosso un micidiale gas e se lo portano a New York, ma King Kong scapperà e si inerpicherà sul grattacielo più alto del mondo, prefigurando un’apocalisse urbana che avrà molte imitazioni al cinema e, purtroppo, pure nella realtà. Insomma, non lo si può scansare questo mirabile e fondativo King Kong, realizzato nei primi anni Trenta dal duo Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack con i capitali di quel genio spigoloso di David O. Selznick. L’abilità fu quella di mescolare una grande invenzione come quella del gorilla gigante alla tenebrosa avventura esotica (quei foschi balli e cerimoniali dei nativi) e al più straziante romanticismo dell’amore impossibile. Il riferimento è, naturalmente, a King Kong che osserva stranito e intenerito la Fay Wray depositata nel palmo della sua mano, una scena che non si dimentica più (come quella finale). Remake famosissimo di John Guillermin nel 1976 con Jessica Lange (Meryl Streep fu scartata ai provini dal produttore Dino De Laurentiis al grido di: perché mi avete portato questa bruttona?). Ci ha provato nel 2006 anche Peter Jackson reduce dal suo Signore degli anelli, con una versione molto postmoderna, ipertecnologica, però troppo self-conscious e ansiosamente politically correct. Un mezzo flop. Per una storia così è necessario un tasso di ingenuità che ormai è impossibile rintracciare, sia in chi i film li fa, sia in chi li guarda.
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