Nick Cave – 20,000 Days on Earth, Rai 5, ore 21,15.20,000 Days on Earth di Iain Forsyth e Jane Pollard. Con Nick Cave, Ray Winstone, Kylie Minogue, Susie Bick, Warren Ellis.
Ritratto dell’artista Nick Cave non più da giovane, avendo lui passato sulla terra finora 20mila giorni (fate voi il conto degli anni corrispondenti). Benché alla regia ci sia una coppia di videoartist, il film è soprattutto una gran narcisata con Nick Cave mattatore che si racconta, si mostra, canta (poco), si mette al centro. Benché abilissimamente confezionato e di modi assai cool, l’ennesimo film celebrativo su una rockstar. Ma oggi questo film del 2013 va rivisto con altri occhi, alla luce della tragedia vera – la morte del figlio Arthur – che ha sconvolto la vita di Nick Cave e che ha ispirato il suo ultimo album Skeleton Free (oltre che un nuovo film: One More Time with Feeling).
Lo inseguivo dalla Brlinale 2014 e adesso che l’ho visto devo dire che non è poi quella gran cosa di cui molti hanno scritto. Ritratto assai da vicino (ma solo apparentemente intimo) di Nick Cave, il pallido prence del rock gotico, il nebbioso signore di tante ballads arrochite. I 20.ooo giorni del titolo sono quelli che lui finora ha trascorso sulla terra, e fate voi il conto di quanti anni siano (io non l’ho fatto). Giovane non è più, questo è sicuro, anche se il capello è sempre assai corvino grazie, immagino, a una tinta massiva (e che non gli sta bene, però lui teorizza che le rockstar devono essere delle icone, “sagome che puoi disegnare con due tratti”, dunque facilmente riconoscibili, dunque immutabili). Sarà anche un gran musicista, però, ecco, il signor Nick Cave non è il massimo della simpatia. Con un narcisismo – ma chi in quel mestiere lì non lo è? – che trasuda da ogni poro e ogni capello. Anelloni d’oro alle dita, occhiali pure d’oro, camicia bianca aperta sul petto: posso dire che è un filo cafonal e che, se dobbiamo stare su quello stile lì, allora mi piaceva di più Califano che se la tirava molto meno? Per carità, il nostro sa stare al mondo, e sa stare davanti alla macchina da presa e usare la macchina-cinema come adeguato piedestallo per l’edificazione del proprio mito. Il film è celebrativo, e lui si autocelebra, però lo fa in modo assai furbo e senza darlo troppo a vedere. Ma il fine resta sempre lo stesso di tanti documentari su rockstar e vari artisti: erigere un monumento in vita al genio. Visto che alla regia c’è una coppia di videoartisti mi aspettavo francamente di più, i due piazzano sì qualche bella immagine, ma contro l’ego di Cave più di tanto non possono. Tremendi i ricordi infantili e giovanili tirati fuori in una fintissima e pilotata seduta con uno psicanalista: “Da teenager mi vestivo da donna, ma solo perché ero innamorato e incantato da una ragazza”. Travestito in quanto molto eterosessuale. E via così, con rivelazioni che sembrano esplosive (“in quel periodo mi strafacevo di eroina e alcol”) e non lo sono. Tra gli ospiti, l’attore Ray Winstone e la sempre adorabile Kylie Minogue, che con lui ha duettato in un celeberrimo hit. Si conclude con un concerto all’Opera House di Sydney (Cave è australiano), tanto per non lasciare dubbi sulla museificazione del personaggio. Per carità, siamo parecchie miglia al di sopra di un analogo prodotto italiano, l’abilità nel dissimulare i toni encomiastici è somma. Ma il film resta nella sua sostanza insopportabile, nonostante la confezione coolissima.
Updating: il film è stato girato un paio di anni prima della tragica morte per Lsd di Arthur, il figlio quindicenne di Nick Cave, avvenuta il 14 luglio 2015. È un fatto di cui a mio parere bisogna tener conto vedendo 20,000 Days on Earth (Arthur appare accanto al padre in qualche scena). Intorno a Arthur ruota il recente album di Nick Cave Skeleton Tree e il gran bel film che Andrew Dominik gli ha cucito intorno, One More Tim with Feeling.
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