Woodstock, 3 days of peace and music, Rai 5, ore 23,41.
Sì, è il caso di dire di questo docu leggendario. A oggi il più famoso di tutti i documenti visivi sul rock, su un festival rock. Un incontro (anche scontro) tra musica e cinema che si sarebbe fissato come paradigma per ogni analogo operazione successiva. A modo suo, pure l’aubiografia di una generazione, i babyboomers americani ma non solo che in quella spianata neanche così ospitale nello stato di New York si radunarono – tra il 15 e il 18 agosto del 1969 – per tre giorni di pace e musica, come recita il sottotitolo del film. Rivederli oggi, quei corpi liberi, mudi e selvatichi, dai lunghi capelli hippizzanti e dalle posture frikkettone, vengono abbastanza i brividi, diciamolo. E però, niente come Woodstock – inteso come rock festival e come film – intercettò e insieme produsse lo Zeitgeist, niente oggi riassume meglio quella stagione di furori idealistici e liberazioni di ogni pulsione e desiderio. Più che ascoltare chi si esibisce sul palco, conviene guardare le centinaia di moigliaia che stanno sotto, a cantare, danzare cosacce orientaleggianti, a fumare, a farsi e strafarsi, a praticare l’amore libero sotto tende improvvisate, sui sacchiapelo, in ogni possibile anfratto. Dello show cosa resta? Molto, in ogni caso. Jimi Hendrix con la sua chitarra acida, Janis Joplin che, strafatta di eroina (come ha rivelato il biopic Janis uscito l’anno scorso), più che cantare urla e graffia con la voce, Joe Cocker nella sua meglio esibizione di sempre, quella della vita, Joan Baez non ancora del tutto dolcificata e ancora vicinissima a Dylan, che è qui il grande assente. Alla regia Michael Wadleigh. Con l’aiuto però nelle riprese e nell’editing di Martin Scorsese e Thelma Schoonmaker, che di Scorsese sarebbe poi diventata l’editor. Oscar 1971 come miglior documentario. Enjoy the show!
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