Lo Stato contro Fritz Bauer (Der Staat gegen Fritz Bauer) di Lars Kraume. Con Burghart Klaußner, Ronald Zehrfeld, Sebastian Blomberg, Jörg Schüttauf. Germania 2015. Vincitore al Festival di Locarno 2015 del premio del pubblico UBS Piazza Grande. Al cinema dal 28 aprile.
La vera storia del procuratore capo Fritz Bauer che negli anni ’50 cercò di estradare Eichmann da Buenos Aires e portarlo davanti a un tribunale tedesco. Non ci riuscì per il boicottaggio delle alte sfere. Un eroe borghese celebrato con questo film (e anche in Il labirinto del silenzio) dopo decenni di oblio e rimozione. Ma il film è di confezione troppo piatta e tradizionale per staccarsi dal gruppo. Con però una sottopista gay non così convenzionale. Voto 5 e mezzo
Un pezzo della storia della Germania post-bellica, la Germania del boom che cerca di dimenticare il nazismo e pensa soprattutto a ricostruire e rifarsi una verginità. Storia vera (emersa solo dieci anni dopo la sua morte) del procuratore generale Fritz Bauer, già socialista ai tempi di Weimar, ebreo sopravvissuto alla Shoah, che negli anni Cinquanta, grazie a una soffiata dall’Argentina, viene a sapere che Adolf Eichmann si nasconde sotto falso nome a Buenos Aires. Vorrebbe portarlo in Germania e processarlo per i suoi crimini (era lui a organizzare nell’Europa occupata dai tedeschi i treni verso i campi di sterminio), ma non ci mette molto a rendersi conto di come il potere, chiamiamolo così, non ha nessuno voglia di scoperchiare quel che è stato silenziato e sepolto. A dargli una mano, solo un suo coraggioso collaboratore. Decide allora di passare le informazioni al Mossad israeliano, con il rischio di essere incriminato in Germania per alto tradimento. Sappiamo com’è finita: Eichmann rapito dal Mossad, portato a Gerusalemme, processato, condannato a morte. Il film è di vecchia, solida confezione televisiva, senza la minima invenzione di forma, stile, linguaggio. Un onesto prodotto che ha il solo merito di ricostruire la storia dimenticata di un uomo-coraggio. C’è anche una sottotrama gay (no, non riguarda Eichmann), con un travestito che di colpo spalanca le gambe rivelando quel che c’ha in mezzo. Chissà che effetto avrà fatto qualla spaccata nuda quando allo scorso festival di Locarno han dato Der Staat gegen Fritz Bauer sullo schermo immenso della Piazza Grande (io l’avevo visto qualche ora prima in una sala piccola, il Kursaal). E però il film è piaciuto assai, visto che il publico l’ha votato poi come il migliore tra quelli proiettati in piazza. Del resto, come dice un mio amico, a Locarno sono gli spettatori di lingua tedesca a egemonizzare la platea, ed è il motivo per cui quasi sempre a vincere son film tedeschi o della Svizzera tedesca. Curiosamente, il personaggio del procuratore-capo Fritz Bauer è spuntato anche in un altro film made in Germany dell’anno scorso, Il labirinto del silenzio, dov’era un’altra volta ostinatamente alle prese con un’indagine su un criminale nazista, non Eichmann però, ma il mad doctor di Auschwitz Josef Mendele. Soltanto qui, in Lo Stato contro Fritz Bauer, però si allude a certi suoi trascorsi omosessuali. E la sottotrama gay che coinvolge il suo assistente è anche l’elemento che differenzia il film da molti altri Holocaust-movies, immettendo un’aria di peccato, di scandalo, di ricatto sessuale a mezza strada tra i loschi kabarett di Berlino al tempo di Weimar e storie e storiacce tipo La ragazza Rosemarie, uno dei più grandi successi del cinema tedesco negli anni Cinquanta. Burghart Klaußner, che è Bauer, lo abbiamo visto questo inverno in Il ponte delle spie, Ronald Zehrfeld, il procuratore incastrato, è in patria un divo.
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