Osama, Iris, ore 0,21.
Film afgano, e già questo ne fa qualcosa di altamente consigliabile. Girato tra 2202 e 2003, poco dopo l’occupazione militare dell’Occidente (iniziata nell’ottobre 2011), a paese appena sottratto al tetro regime dei talebani. Osama solo l’anno prima non lo si sarebbe potuto girare, ed è uno dei motivi non secondari per guardarselo. Menzione speciale a Cannes da parte della giuria della Caméra d’or, il premio per la migliore opera (era stato presentato alla Quinzaine). E nel 2004, Golden Globe per il migliore film in lingua straniera. Diretto da Siddiq Barmak, ci racconta di una storia esemplare dell’era talebana, quando le donne non potevano uscire di casa se non in burka. Succede che in una poverissima famiglia la madre, rimasta senza marito, sia costretta a vestire da uomo una delle figlie in modo che possa trovarsi un lavoro. Col nome maschile di Osama. Didascalico, certo. A tesi, eccome. Ma sono di quelle finestre spalancate su mondi lontani che non conosciamo, e che è bene conoscere.
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