Il buio oltre la siepe, la7, ore 23,30.
Una delle tappe storiche del cinema d’impegno civile americano. Un puro prodotto dell’era kennediana e dei suoi sogni liberal, progressisti, integrazionisti. Attenti alle date: il romanzo molto autobiografico da cui Il buio oltre la siepe è tratto (autrice Harper Lee, premio Pulitzer) è del 196o, il film è del 1962, Kennedy entra in carica il 20 gennaio 1961 e muore il 22 novembre 1963. Quando lo vidi da bimbetto il film mi impressionò moltissimo, come il libro del resto. Essendo edificante e di ottime intenzioni (mai melenso però), divenne rapidamente uno dei titoli forti dei cinema parrocchiali, nonché dei cineforum con interminabili dibattiti del tempo. Credo che resista bellamente anche oggi, proprio in virtù di quel profumo d’epoca che irresistibilmente si porta dietro. Storia ambientata nell’Alabama dei primi anni Trenta, ma il tema preso di petto, quello del razzismo contro i neri nel profondissimo Sud, si sincronizzò benone con le battaglie anti apartheid di Martin Luther King dei primi anni Sessanta in cui libro e film vennero alla luce (a proposito, il titolo originale fa To Kill a Mockingbird, Uccidere un uccellino, anche se quello italiano è altrettanto efficace). Dunque, famiglia bianca con padre avvocato che impersona benissimo i valori migliori dell’Anerica equa, democratica e solidale, quella che affonda le sue radici nella più altruistica e autentica tradizione cristiana popolare. Vedovo, il signor Atticus Finch ha due figlioli da crescere, in particolare deve tener d’occhio la bimba di dieci anni, sveglia, linguacciuta, assai tomboy, insomma tendenza rude maschiaccio più che signorinetta alla Rossella O’Hara, l’archetipo femminile Deep South. Oltre la siepe di casa, un vicino mattoide che naturalmente è il bersaglio della curiosità dei due ragazzetti (trattasi di un Robert Duvall praticamente all’esordio). Intorno naturalmente è Alabama, cioè neri non più schiavi ma trattati come alieni e inferiori, e il ku klux klan con i suoi foschi riti e la morsa a tenaglia sulla chiamiamola società civile del borgo. Succede il fattaccio che coagula tutte le tensione, le materializza, le porta a galla, le fa esplodere. Un ragazzo nero viene accusato di stupro su una bianca, ma quel brav’uomo di Atticus Finch ne prenderà le difese davanti alla corte. Lo farà assolvere, ma non basterà a salvare il povero innocente diventato capro espiatorio. Il coraggio del Buon Americano contrapposto al marciume e ai veleni di un tessuto sociale bacato e arretrato e malato. Una trama perfetta, una storia irresistibile che quando uscì – prima nelle librerie, poi nei cinema – riuscì a incarnare ideali e idealismi della Nuova Frontiera kennedyana, di un paese che ancora credeva in se stesso e nella propria parte migliore. Ma il film sa anche essere altro, il ritratto di un’infanzia curiosa ed esploratrice alla Mark Twain, un racconto di formazione, la messa a nudo dei meccanismi terribili e inesorabili che producono la barbarie-frenesia collettiva del linciaggio. Diretto da Robert Mulligan, regista sottovalutato, capace di finezze, sottile nella rappresentazione d’ambiente e nell’esplorazione di anime e menti, girato nel meraviglioso bianco e nero di quel tempo, Il buio oltre la siepe fu un enorme successo popolare, soprattutto in patria, anche se funzionò molto bene pure nel resto del mondo, Italia compresa. Tre Oscar, tra cui quello strameritato come miglior attore a Gregory Peck nel ruolo forse migliore della sua vita, grandissimo, monumentale. Il suo Atticus è una delle figure di padre più belle della storia del cinema, insieme a qualche Spencer Tracy, e una delle rappresentazioni più limpide della bella e buona America democratica e lincolniana. Ma molto si dovrebbe parlare di Harper Lee, l’autrice del libro, il suo unico libro. Oggi 86enne, con Il buio oltre la siepe ha venduto trenta milioni di copie, è entrata nella storia della letteratura del suo paese e non ne è più uscita, eppure non ha più scritto da allora, anche se da decenni si favoleggia di un suo secondo romanzo. Di lei si sa pochissimo, la sua vita privata è sempre rimasta nell’ombra. Si sa qualcosa solo dell’amicizia che, pur tra alti e bassi, la legò a Truman Capote, suo compagno e vicino d’infanzia (erano nati nello stesso paesello dell’Alabama). Fu lei ad accompagnarlo nelle lunghe ricerche e nei sopralluoghi, e negli incontri con gli assassini, che lo avrebbe portato a scrivere A sangue freddo (e difatti la ritroviamo nei due film che ricostruiscono quella fase nella vita dello scrittore, Capote e Infamous).
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