Locarno Festival 2016. Recensione: il giapponese WET WOMAN IN THE WIND. Come in un porno-vintage anni Settanta

OC901116_P3001_217859(Visto venerdì 5 agosto)
Kaze Ni Nureta Onna (Wet Woman in the Wind) di Akihiko Shiota. Con Mamita Yuki, Nagaoka Tasutu, Suzuki Michiko. Giappone 2016. Concorso internazionale.
OC901113_P3001_217855Giappone, oggi. La solitudine (scelta) di Kosuke viene infranta dall’arrivo di una donna-ciclone che lo riporterà al piacere e alla joie de vivre. Un film pecoreccio-chic e scopereccio dove tutti vanno a letto con tutti come in certi porno vintage o certi eroticarelli anni Settanta. Con in sottotraccia qualcosa di pià inquietante: la guerra dei sessi tipo L’impero dei sensi. Voto 6+
OC901117_P3001_217861Levataccia alle ore 6,50 per potere essere alle 8 in punto al Kursaal per la prima proiezione stampa della giornata, questo film giapponese di libertinaggi e goliardate goderecce e scoperecce tipo certi allegri porno vintage anni Settanta, o certi nostri eroticarelli o decamerotici. Francamente, mai m’è capitato a un festival un press-screening così presto, il peggio pensavo fosse Cannes dove si comincia ogni giorno alle 8,30: ecco, Locarno ha stabilito un record. Ma il film almeno valeva la levataccia? Non proprio, a essere franchi. Per carità, ci si diverte, si segue volentieri la storia di una mattocca che se la tira da dea dell’amore e del sesso e che quando si incapriccia di uno se lo deve portare a letto. L’apertura è folgorante, degna della vecchia screwball comedy. Un uomo a bordo fiume (o è il mare? non ricordo bene) assiste impassibile alla caduta in acqua di una tizia in icicletta. Mica che le dia una mano, macché, se ne sta immobile sulla riva, anche quando quando lei uscita dall’acqua si toglie la maglietta restando a seno nudo. Ecco, la coppia, e anche l’asse narrativo del film, sono stabiliti: la donna ciclone e l’upmo infrigidito dai suoi problemi e crucci da scuotere e da restituire al mondo, al sesso, alla vita, al godimento. Lei si chiama Shiori e lavora in una bettola lì vicino naturalmente portandosi a letto il padrone che per lei ha perso la testa, lui è Kosuke, vive in una capanna in mezzo al bosco, un eremitaggio scelto e voluto dopo anni passati in città a scrivere per il teatro e dirigere una compagnia. Shiori sconvolgerà la sua quiete e gli risveglierà tutti i sensi, ma propro tutti, compresi quelli che abitano sotto la cintola e tra le gambe. Intanto, non bastasse, arriva a ingrangere la solitudine di Kosuke anche la sua ex compagna di teatro con tre giovani attori e una assistente di scena. Si scatena una sarabanda del sesso, con tutti che scopano con tutti (accoppiamenti comunque rigorosamente etrosessuali, visto che nel suo scanzonato libertinaggio il film resta assai tradizionalista in fatto di copule). Si oscilla tra goliardata e ironica leggerezza, nei momenti migliori il film ha l’incanto e la freschezza degli scoperecci primi Settanta, dove il sesso era pura esplosione energetica senza ombre e problemi. Un film-gazosa, senza pesantezze ideologiche e senza messaggi. Con in sottotraccia e in controluce qualcosa di più cupo e inquietante, la guerra eterna dei sessi, e l’egemonia del femminile sul maschile, l’assoggettamento tramite eros dell’uomo da parte della femmina trionfante. Mica per niente siamo in Giappone, siamo nel cinema giapponese che ci ha dato L’impero dei sensi.

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