Cessez-le-feu, un film di Emmauele Courcol. Con Romain Duris, Céline Salette, Grégory Gadebois. Francia 2016. Piazza Grande.
Polpettone paratelevisivo (da tv di una volta però, mica quello cool delle serie di oggi) su due fratelli francesi reduci dalla prima guerra mondiale, e variamente segnati dall’esperienza. Temi assai seri trattati con la piattezza di una fiction della domenica sera e un mieloso sentimentalismo. E la parte africana è imbarazzante. Un film che neanche ottimi attori come Romain Duris e Céline Sallete riescono a salvare. Voto 3
D’accordo che in Piazza Grande devono passare film in grado du accontentare una platea di sei-ottomila spettatori e dunque non li si può torturare, per dire, con il portoghese Correspondencias passato in concorso o l’ostico I had nowhere to go visto a Cineasti del presente Ma tra la sòla come questo tremendo Cessez-le-feu e i più spericolati sperimentalismi da press-screening al Kursaal ci sarà pure una giusta via di mezzo, o no? Nonostante la presenza di due attori che amo parecchio, Romain Duris e Céline Salette, Cessez-le-feu è un film senza una visione, senza un’idea di cinema, quello che un tempo si sarebe detto un polpettone, intendendo un contenitore senza forma in cui si affastellano alla rinfusa materiali narrativi diversi. Anche, un prodotto paratelevisivo, ma della tv d’epoca, di quando le serie americane di nuova generazione non avevano ancora ridisegnato panorama, offerta e qualità. Un film sentimentaloide sugli effetti della guerra, in questo caso la prima mondiale, quella delle trincee, degli uomini massacrati a centinaia, a migliaia alla volta dai colpi di mortaio, dalle granate, dai gas nervini, letteralmente fatti a pezzi e poi consumati dal fango e dagli escrementi. La mente non si ripulisce più dopo un’esperienza così, ci dice Cessez-le-feu, il reduce sarà reduce per sempre, non uscirà mai davvero dalle trincee. Vale per la WWI come per il Vietnam e ogni altro conflitto, difatti il cinema dei reduci è da sempre un filone rigoglioso (pensiamo all’esemplare I migliori anni della nostra vita di Wlliam Wyler o a Tornando a casa di Hal Ashby). I tre fratelli Laffont son tutti partiti pe difendere la Francia dai tedeschi, dai boche. Louis andrà disperso a Verdun, il più semplice e fragile dei tre, nonostante il suo corpo massiccio, Marcel, tornerà sordo e muto. Il terzo, il più brillante, Georges, se ne scapperà per anni in Africa, nell’alto Vola con il fedele compagno d’armi Diofo a vivere l’avventura e più probabilmente per dimenticare la Francia, l’Europa, la trincea, il sangue. Ma nemmeno l’Africa è il paradiso, anzi, e Georges decide dopo un fattaccio di rimettere piede in patria, di tornare dalla madre e dal fratello Marcel. Peccato che il tutto sia abbomdantemente inaffiato dalle lacrime di storiucce d’amore più o meno tormentate, e comunque di nessun interesse: tra Marcel e una giovane vedova, tra Georges e l’insegnante della lingua dei segni al fratello sordomuto. Son temi anche seri, quelli tirati in ballo. Purtroppo Cessez-le-feu sceglie la strada peggiore, quello del period movie più laccate e convenzionale (ma possibile che tutti gli abiti sian sempre perfettamente lindi e stirati? possibile che ogni interno sembra uscire da un catalogo d’epoca? per evitare i rischi del film in costume si impari dal film del concorso proiettato proprio stamattina qui a Locarno, il bellissimo Cuori cicatrizzati del rumeno Radu Jude). Con musicacce, e micidiali mielosità romantiche sparse dapertutto. E non senti mai l’odore, l’orrore, il sapore acre della guerra.
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