Geumul (The Net) di Kim Ki-duk. Con Ryoo Seung-bum, Lee Won-gun. Cinema nel giardino. Voto 6 e mezzo
Chissà perché Geumul è stato confinato nell’ancora sfuocata e irrisolta sezione Cinema nel giardino, con quel pugno di film assai disomogenei tra loro, visto che Kim Ki-duk è una gloria delcinema autoriale degli ultimi decenni, e gloria veneziana, vincitore (immeritatamente, bisogna dire) neanche troppi anni fa di un Leone d’oro con Pieta. Con la proiezione stampa di Geumul si è anche inaugurata la neonata Sala Giardino, parallelipipedo rosso sorto su una ex terra di nessuno ora redenta e consacrata al cinema. Peccato che lo sreening sia partito in ritardo per via che file e file di sedie si staccavano non appena i malcapitati spettatori ci si sedevano sopra e son dovuti intervenire i manutentori a sistemare le cose con gran stridore di trpani e altre attrezzerie. Ma anche in corso di proiezione molti son doviti uscire o cambiare posto causa instabilità dei sedili, mentre da fuori del cubo arrivava ogni possibile rumore. Ma non facciamone un dramma, suvvia. Il film, piuttosto: una buona sorpresa. Ci si apsettava la solita macelleria del laureato regista di Seul, arti spezzati, torture con martellacci, sadismi con motoseghe, macelleria solitamente miscelata ad aneliti spirituali e ansie di riscatto, invece macché. KKD ci ha spiazzato tutti con un racconto rigoroso e senza troppi deragliamenti (oddio, una torturina con un pesante posacenere di cristallo non ce l’ha fatta mancare) intorno a un pover’uomo finito stritolato tra gli opposti estremismi e le opposte paranoie e ottusità di Nord e Sud Corea. Con il solo limite di una parabola fin troppo dimostrativa e a tesi. Chul-woo è un povero pescatore del Nord, assai ligio al partito e al leader, che causa avaria finisce nelle acque del Sud. Catturato, sarà sottoposti a interrogatori, minacce, pressioni in quanto sospetta spia mandata da Pyongyang. Un agente carogna sarà il suo persecutore e carnefice, un ragazzo neoarruolato nei servzi sarà invece il suo angelo custode. Quando ilpescatore ce la farà a tornare a casa si rioeterà lo stesso copione: gli sgheri del regime lo terranno in isolamento sospettando sia passato al nemico di Seul. Povera patria, canterebbe un Battiato coreano. Una storia amarissima su un paese spezzato, su un’identità schizofrenica, che Kim Ki-duk racconta con un pudore che non gli conosceva. Il limite se mai è la voluta esemplarità del racconto, e il sovraccarico ideologico che Kim Ki-duk ci mette dentro. Nord e Sud Corea sono entrambi degli inferni, anche se per ragioni diverse: questo ahinoi il messaggio inequivocabile del film. E allora, mica per fare la lezione a un coreano che di Corea uno e due ne sa più di noi, ma insomma il Sud avrà pure le sue sfighe e iniquità, ma il Nord del leader bamboccione a occhio pare molto ma molto peggio, giusto?. Invece a una prostituta di Seul Kim Ki-duk mette im bocca la seguente e fin troppo didascalica battuta: “Qui abbiamo la libertà, ma se non hai i soldi non sei nessuno, e per averli io mi devo prosituire”. Insomma.
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