
Photo courtesy of Magnolia Pictures

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Lo and Behold – Internet: il futuro è oggi (Lo and Behold – Reveries of the Connected World), un film di Werner Herzog. Con Elon Musk, Kevin Mitnick, Leonard Kleinrock. Adesso al cinema, distribuito da I Wonder.

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Annunciato come un viaggio di Werner Herzog nei misteri di internet, Lo and Behold (più o meno Guarda e stupisci) è se mai un’esplorazione, insieme divertente e allarmante, delle derive estreme e delle follie indotte dalla tecnologia. Puro Herzog, anche se stavolta al posto dei suoi Aguirre e Fitzcarraldo ci racconta i nuovi visionari del mondo digitale. Rivelando i deliri e i sogni-incubi che ancora una vota si celano nella ragione scientifica. Voto 7

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Diciamolo, le note di presentazione di Lo and Behold rintracciabili su siti variamente ufficiali o ufficiosi sono un filo intimidenti. Werner Herzog va a esplorare passato e futuro di Internet! Werner Herzog vi dirà da dove veniamo e dove stiamo tecnologicamente andando! Werner Herzog penetra nei segreti della nostra vita digitale! E via esagerando e tromboneggiando, anche perché il regista teutonico con le sue smanie e sfide titanico-wagneriane in forma di cinema ha sempre autorizzato, e continua ad autorizzare, l’uso di esclamativi e iperboli. Ma via, non mettiamola giù tanto dura stavolta, e non cadiamo genuflessi di fronte all’Opus Maximum annunciato. Non prendiamo neppure troppo alla lettera quanto ci viene detto nel pressbook, in recensioni dal Sundance e quant’altro, ovvero che Lo and Behold (che sta più o meno per Guarda e stupisci, Guarda e ammira) sarebbe un didascalico viaggio attraverso Internet, e un racconto su come sia nato, evoluto e su come stia ipotecando il nostro futuro. Lo stesso Herzog sembra farcelo credere all’inizio, quando, come in un qualsiasi documentary di Discovery Channel, va in visita al sacrario della rete, la stanza dell’UCLA dove il 29 ottobre 1969 venne stabilito il primo contatto “host to host” (ma cosa mai vorrà dire?, qualcuno ci ragguagli, grazie). Lui si sforza di spiegare, noi di capire, ma il risultato non è granché, il gergo inziatico dei testimoni ed esperti non aiuta, contribuendo più a sacralizzare l’evento, ad avvolgerlo in un’aura di eccezionalità miracolosa e oltreumana, che a restituircelo nella sua concretezza tangibile. Si continua per un po’ nello stesso solco, con spieghe sempre più astruse ai confini dell’esoterico. Finché grazie a Dio Herzog comincia a fare il mestiere suo, non quello di un Piero Angela qualsiasi preoccupato di introdurci agli ultimi misteri della scienza e della tecnica, e si scatena nel bizzarro, nell’estremo, nel visionario, andando ad esplorare dark side e mattane, svalvolamenti di testa e deviazioni patologiche dell’universo internettiano e, più in generale, digitale. Scandito in dieci capitoli ognuno con un titolo roboante tipo Glory of the Net, The Internet of Me, The Future (Werner Herzog è pur sempre un signore made in Germany, dunque erede di un carico pesante di pensiero filosoficamente complesso), il film man mano si allontana dal suo intento grevemente pedagogico dell’inizio per farsi cinema di alterazioni e oltrepassamenti del reale. Insomma puro Herzog. Così si resta basiti dal racconto dei genitori che, persa la giovane figlia in un incidente stradale, si sono visti riproporre dalla rete e dai social per molto tempo le macabre immagini del suo corpo dilaniato. O nel vedere le comunità di recupero degli internet- o videogame-addict che, travolti dalla tecnologia, si sono avvitati nel delirio. Come nel caso di quei coreani che per star dietro a non ricordo quale diavoleria digitale – una specie di tamagochi potenziato mi pare – si son dimenticati di dar da mangiare al figlio portandolo alle soglie della morte. C’è un lato oscuro, malato e selvaggio nell’high tech, che altro non è che la continuazione con mezzi digitali, l’estensione, del lato nero dell’umano che ne fa uso. Il guaio è che, man mano che Herzog si inoltra in queste zone di follia con la stessa determinazione con cui decenni fa metteva in scena la perdita del senso di realtà in Aguirre o Fitzcarraldo, svanisce per evaporazione lo stesso oggetto iniziale del discorso, vale a dire Internet. Quando Herzog incontra un altro santo o santone della tardomodernità e delle sue derive estreme come Elon Musk (sì, il boss di Tesla e della macchina senza driver, tecnologia in questo momento non proprio all’apice del successo dopo un incidente mortale capitato qualche mese fa) e discetta con lui di turismo su Marte vien da chiedersi, da profani: ma cosa mai c’entra Internet con il pianeta più rosso che c’è? E cosa mai c’entra il web con il signore che sta mettendo a punto dei robot campioni di calcio in grado di competere con Ronaldo e Messi? (ma siamo sicuri che ce ne sia così bisogno?). A quel punto meglio rinunciare a ogni vano tentativo di capire, e inoltrarsi stupefatti e un filo spaventati nel tunnel delle meraviglie, o degli orrori, che Herzog ci sta facendo percorrere. C’è da divertirsi, e anche di che riflettere ogni tanto. Anche se non siamo nella foresta amazzonica dei suoi vecchi capolavori, il gran tedesco ancora una volta ce la fa a inchiodarci alla poltrona e a portarci nell’ignoto attraverso le sfide pazze di certi suoi intervistati. Missione compiuta: basta non far troppo caso a un Herzog eccessivamente appiattito sugli entusiasmi dei suoi interlocutori e sulla loro cieca fiducia nei progressi della scienza e della tecnica. Come in un Ballo Excelsior dell’era digitale.