La dolce vita, Iris, ore 23,35.
Prima di tutto, prima di Sorrentino e di La grande bellezza c’era Fellini, e questo suo imprescindibile, seminale La dolce vita. Che dire di un film così? Intendo, così smisurato, così raccontato, così celebrato. Meglio lasciar parlare Martin Scorsese, che ne ha curato qualche anno fa il restauro. «È un film che ha cambiato tutte le regole. I film si dividono tra quelli che vengono prima e quelli che vengono dopo. Ha portato un cambiamento nella società e nel cinema. Fino agli anni ’50 e inizio 60 c’erano grandi film epici come Ben Hur o Spartacus, o fantastici come Il giro del mondo in 80 giorni, insomma grandi film per famiglie. Nessuno si era mai trovato di fronte a questa intensità morale, all’intelligenza, alla maturità di un film come La dolce vita. Cambiava la scena del cinema commerciale in tutto il mondo». Visto oggi, appare uno dei più vitali di Fellini, mentre altri suoi sono datatissimi e pressochè inguardabili. Per niente trasgressivo. Anzi l’aspetto più caduco di La dolce vita è proprio il moralismo e la sentenziosità con cui guarda a ciò che mette in scena, ovvero lo scatenamento dei sensi e più in generale dell’Es (istinto di morte compreso). Scatenamento che nasce dall’incontro-scontro tra due culture opposte, dalla faglia che si apre nella Roma in superficie cristiana, ma nel fondo pagana, tellurica, demoniaca, quando su di essa cala il divismo sregolato e senza freni degli uomini e donne della Hollywood peccatrice. La dolce vita è uno snodo. Ed è l’apogeo del cinema italiano, allora il migliore del mondo e una potenza in grado di contrastare le produzioni americane su molti mercati (Europa, Sud America, Medio Oriente). Anno mirabile, quel 1960, per il nostro cinema. Uscirono oltre a La dolce vita anche Rocco e i suoi fratelli, L’avventura e La ciociara. Da vertigine. Intanto, ri-godiamoci stasera Marcello Mastroianni che ci guida, come un Virgilio dantesco cinico e spossato dentro i cunicoli di Roma la Grande Meretrice, tra scarse vitù e molti vizi privati, in un racconto-accumulo di frammenti, episodi, trame e sottotrame, personaggi che appaiono e scompaiono. Un film labirinto, con quell’Anita Ekberg nella fontana di Trevi a gridare nella notte “Come on, Marcello, come on!”. Con la visita nei palazzi della nobiltà nera e debosciata. Con l’orgia che prefigura tuttti gli anni e i decenni di rivolgimenti sessuali a venire. Con il suicidio dell’intellettuale disgustato dalla deriva etica di massa. Con il gran finale dei sopravvissuto al festino a guardare inorriditi il pesce-mostro arenato sulla spiaggia. La dolce vita, un pezzo di storia del cinema, senza esagerazione. Palma d’oro a Cannes 1960.
CERCA UN FILM
ISCRIVITI AI POST VIA MAIL
-
-
ARTICOLI RECENTI
- In sala. PATAGONIA, un film di Simone Bozzelli (recensione). Storia di Yuri e Ago
- In sala. IL GRANDE CARRO, un film di Philippe Garrel (recensione). Premio per la migliore regia alla Berlinale 2023
- Venezia 80. EVIL DOES NOT EXIST (Il male non esiste) di Ryusuke Hamaguchi – recensione
- Venezia 80. GREEN BORDER di Agnieszka Holland (recensione): crisi umanitaria ai confini dell’Ue
- Venezia 80. Chi vincerà come migliore attrice/attore? Questi i favoriti
Iscriviti al blog tramite email