Il teatro di Kenneth Branagh: Il racconto d’inverno di William Shakespeare, in sala martedì 18 e e mercoledì 19 ottobre 2016. Seguiranno, sempre per il ciclo ‘Il teatro di Kenneth Branagh’, Romeo e Giulietta di William Shakespeare (29 e 30 novembre 2016) e The Entertainer di John Osborne (10 e 11 gennaio 2017). Distribuzione Nexo Digital. Elenco delle sale sul sito Nexo Digital.

Photo Johan Persson – courtesy Garrick Theatre
Quando comparve sulla scena negli anni Ottanta, quella dei teatri e quella mediatica, tutti a rilanciare il cliché che qualcuno aveva appena coniato: Kenneth Branagh è l’erede di Laurence Olivier. Si stabilirono anche parallelismi non così convincenti tra la coppia di vita e spettacolo Laurence Olivier-Vivien Leigh e quella costituita da Kenneth Branagh e Emma Thompson. Da quegli anni molto è cambiato, Branagh e Thompson si sono separati, e però bisogna ammettere che il paragone allora così azzardato tra lui e Olivier si è inverato nei fatti. L’attore-regista nordirlandese ha percorso un tragitto scintillante tra teatro (spesso shakespeariano) e cinema che, pure nella diversità di stile e modi (Branagh è più muscolare, sanguigno, anche più proletarizzante, più irish e meno british), davvero non è indegno dell’illustre modello. Dopo essersi concesso gli anni scorsi incursioni da regista nel cinema popolare d’alto budget e incasso (Thor, Cenerentola), KB è tornato alla dimensione più raccolta del palcoscenico, installandosi con la sua compagnia nel restaurato Garrick Theatre di Charing Cross a Londra, e realizzando spettacoli di gran richiamo e successo. E sono tre quelli che, grazie alla distribuzione di Nexo Digital, si possono e si potranno vedere nei cinema italiani, a partire proprio da oggi 18 ottobre con Il racconto d’inverno, uno Shakespare non dei più frequentati, ed è un motivo in più e non un motivo in meno per non perderselo assolutamente (seguiranno Romeo e Giulietta e The Entertainer). Io, che The Winter’s Tale non l’avevo mai visto né al cinema né a teatro, mi son ritrovato ancora una volta a sbalordirmi di fronte alla solita irresistibile macchina narrativa del signor WS. Oltre che per la sontuosutà di una lingua (che grazie a Dio qui possiamo cogliere nella VO) iridescente e voluttuosa. Il racconto d’inverno parte come tragedia, trascolora (ma non troppo) in commedia nella seconda parte, sfiorando quello che oggi chiamiamo melodramma familiare, con molte lacrime nel gran finale (tenere a portata di mano i kleenex). Due re, il primo di Sicilia il secondo di Boemia (siamo in una geografia alquanto approssimativa e immaginaria, con una Boemia bagnata dal mare, e in un tempo storico di classicità greco-mediterranea un po’ spuria), son cresciuti come amici fraterni. Ma, durante una visita di Florizel il boemo alla corte dell’amico Leonte il siciliano, ecco la clamorosa rottura. Il siculo sovrano è morso dalla tarantola della gelosia e dà fuori di testa, pensando (sbagliando) che la virtuosa moglie sia l’amante dell’amico. Con tragiche conseguenze. Compresa la neonata figlia Perdita (già, come il personaggio di Isabella Rossellini in Cuore selvaggio) che lui, ritenendola frutto della relazione adulterina, farà abbandonare agli uccelli rapaci e alla fiere là nella desolata Boemia. Naturalmente Perdita verrà salvata da un pastore e allevata da lui come una figlia, innescando una girandola di conseguenze. Il resto cercate di scoprirlo tra oggi e domani al cinema, dico solo che come affabulatore e storyteller ovviamente Shakespeare non lo batte nessuno, e con questo mélo (con però momenti di decompressione, vedi le scene bucoliche di festa e i numeri cantati del venditore-truffatore) agguanta la plaea all’inizio e non la molla più fino al calar del sipario. Kenneth Branagh si tiene per sè la parte del crudele e pazzo di gelosia (peggio di Otello) re Leonte, non troppo credible come giovanotto nella prima parte, molto di più nella seconda, che si svolge sedici anni dopo, quale invecchiato e depresso sovrano. E si assume la responsabilità della regia, mettendosi innanzitutto, e meno male, al servizio del testo senza mai prevaricarlo, riconducendo la recitazione del cast a una modernità non esagitata. Spettacolo classico ma non impettito, non ingessato, il giusto mezzo per accontentare la più larga e internazionale platea possibile. E ancora una volta si sposta l’azione da una Sicilia e Boemia collocate da Shakespeare nell’età classica (si parla di dei dell’Olimpo) al solito Ottocento di interni un po’ aristocratici un po’ borghesi, come ormai nella maggioranza delle messinscene teatrali e di opere liriche. Ormai una rigida convenzione che sarebbe ora di infrangere. Lo stesso Branagh se ricorda bene aveva diretto un Amleto pure collocato in palazzi tra regina Vittoria e Ludwig di Baviera, con strizzate d’occhio ai salotti della rampante imprenditoria e finanza. Tutto corretto, ma niente di nuovo. Oltre a Branagh, giganteggia Judi Dench come Polina, personaggio apparentemente laterale (è la moglie di un cortigiano) e invece fondamentale per gli svilupi del plot, e anche voce morale dello stesso Shakespeare.