Paisà di Roberto Rossellini, Rete Capri (canale 20 dt), ore 21,00.
Avvertenza: capita con una certa frequenza che la programmazione di Rete Capri cambi all’ultimo momento e al posto del film annunciato ne venga mandato in onda un altro. Cosa ci cui ovviamente questo blog non è responsabile.
Di quei film da storia del cinema, da cineteca, da cineforum-segue-dibattito anni ’60 (e oltre). Un monumento, ecco. Che conviene demonumentalizzare, guardare con occhio come dire ingenuo, come se su Paisà non si fosse depositata fin dal suo apparire, anno 1946, una quantità insostenibile di commenti, critiche, glosse, guide alla visione. Allora, abbandonarsi a Rossellini, al suo cinema incredibilmente, quasi fantasmagoricamente respirante insieme al reale, insieme all’oggetto rappresentato e inquadrato. Realismo, neorealismo nel senso più primario e perfino ovvio. Registrazione senza apparenti filtri, senza apparente messa in scena (e qui sta la maestria) di ciò che succede dando l’illusione della presa diretta documentaristica. Cattura del soffio vitale. Sei episodi a raccontare l’avanzata da Sud a Nord degli alleati, dalla Sicilia alla Padania, erodendo man mano il territorio sotto controllo di tedeschi e repubblichini. Quasi un instant movie, con la restituzione nitida e precisissima di un’Italia ancora segnata, ancora in macerie, ancora sotto trauma, ancora stordita tra fine del fascismo, sconfitta in guerra, e un nemico diventata di colpo amico (con quante ambiguità? dopo quali giravolte?) e ingombrante presenza occupante con cui fare i conti. Instant movie che però è già, nonostante l’adesione impressionante al cosiddetto reale, sguardo distaccato da storico. Film enorme, film di un’epoca, di un mondo finito in cerca di un ricominciamento. Una lezione di cinema cui guardò il mondo intero, dove Rossellini perfezionò il modo di girare sperimentato in Roma città aperta. Impressiona, oggi, la solida trama narrativa, lo storytelling nascosti dietro le maniere documentaristiche. Film naturale e insieme costruitissimo, strutturatissimo nella messa a punto dei sei episodi. Con sconfinamenti e derive, che peraltro erano già in Roma città aperta, nel melodramma (l’episodio sicialiano, e quello napoletano, e soprattutto quello romano). Restano impressi il ragazzino-truffatore a Napoli e la sua vittima, quel soldato di colore gigantesco dispensatore di cioccolato. La ‘segnorina’ romana, ragazza di buona famiglia diventata prostituta per gli americani. Quei cartelli con la scritta ‘partigiani’ affioranti dai corpi buttati nelle acque semipaludose del delta del Po nell’episodio terminale. La battaglia di Firenze, con l’Arno a dividere la parte sud già liberata dagli americani e la parte nord ancora in mano ai tedeschi, con quei passaggi segreti attraverso la galleria degli Uffizi, e il complesso sistema per comunicare con i partigiani dall’altra parte, e di mezzo pure una storia d’amore (il melodramma di cui sopra, appunto). Episodio nel quale alcune scene son state girate, stando alla vulgata, da Federico Fellini, assistente di Rossellini e coautore della sceneggiatura. L’Italia in macerie quasi in diretta. Film che ha contribuito potentemente al mito di fondazione della nuova Italia postbellica come paese nato dalla resistenza antifascista. Il che è bello e fa da toccasana all’orgoglio nazionale, alla malferma identità nazionale, ma mette in ombra le collusioni tra popolo e regime di un ventennio, e l’accettazione del regime da parte di molti italiani. Ma questa è, letteralmente, un’altra storia.
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