Parola di Dio (Uchenik – The Student), un film di Kirill Serebrennikov. Con Con Victoriya Isakova e Pyotr Skvortsov. Al cinema dal 27 ottobre 2016. Presentato lo scorso maggio a Cannes, sezione Un certain regard.
In una scuola dell’enclave russa di Kaliningrad irrompe l’invasato Venya. Che, a colpi di citazioni bibliche, comincia la sua guera contro compagni di classe e professori. La sola ad arginare il suo fanatsimo è l’insegnante di biologia, e sarà scontro finale. Un film che sembra alludere all’irresistibile ascesa nella Russia putiniana dell’alleanza tra potere politico e religioso. Drammaturgicamente efficace e avvincente, benissimo girato e interpretato, ma troppo schematico e manicheo per essere davvero un film importante. Voto 6 e mezzo
Il russo Kirill Serebrennikov, anni 47, aveva portato a Venezia in concorso – era il 2012 – il contorto, compiaciutissimo Izmena, film-sudoku di quelli che ti fanno perdere la pazienza e che però lasciava intuire un bel talento, e una sana voglia di percorrere strade e sentieri non battuti e selvaggi il giusto. Quando ho visto quest’anno nel programma di Cannes, nella sezione seconda Un certain regard, un suo nuovo film dopo anni di latitanza, questo Parola di Dio (titolo originale Uchenik, titolo internazionale The Student) mi son messo in modalità attesa, non spasmodica ma certo vigile. Alla visione son poi rimasto spiazzato e mediamente deluso, non mi aspettavo dopo l’enigmatico e post-post-antonioniano Izmena un film così parlato, così a tesi, così trasparente nei suoi scopi, così teatrale. Come se Serebrennikov avesse attuato una decisa inversione ad U, una sorta di normalizzazione. Adesso, a qualche mese di distanza, e fuori dalle giostre festivaliere, devo riconoscere che Uchenik si mostra prodotto di ottima tenuta e solida drammaturgia, un film girato con un marcato senso dello stile (preferibilmente camera fissa, a costruire spazi scenici ristretti e claustrofobie in cui si agitano come in trappola i personaggi, e soprattutto il protagonista assoluto, il ragazzo Venyamin). Con un che, nella storia, di programmatico e dimostrativo, da esemplare apologo brechtiano, che contribuisce a fissare, a congelare, a irrigidire ancora di più il film in una forma oratoriale solo apparentementente contrastante con la violenza verbale e fisica di Venyamin, e che ne è in realtà la gabbia. Film ipnotico, dotato di una sua incontestabile potenza, che a Cannes molto è piaciuto, anche se poi è uscito da Un certain regard senza premi. A me ha disturbato allora, e solo un po’ meno oggi, l’impronta antireligiosa del testo (tratti da un play del tedesco Marius von Mayenburg, immagino riadattato e riplasmato, visto che le allusioni alla realtà russo-putiniana son corpose, anche troppo), la sua virulenza di matrice, più che laicista, rozzamente ateista. Anche se il film nella sua antireligiosità lascia aperte plurime interpretazioni. Cos’è mai Parola di Dio? Una critica alla neoalleanza tra trono e altare della Russia sorta dalle ceneri dell’Unione Sovietica, dove Putin e Chiesa Ortodossa marciano paralleli, anzi uniti, nel nome del ritorno al passato? (va ricordato che il presidente russo ha introdotto lo studio obbligatorio di religione nele scuile di stato, con possibilità di scelta tra sei religioni; chiaro però che la russo-ortodossa è egemone). O è da parte del drammaturgo tedesco e poi di Serebrennikov una denuncia del fanatismo (che sarebbe) inscritto nel codice genetico del cristianesimo e da esso ineliminabile? O delle religioni monoteistiche? O delle religioni tuttte? Oppure ci si vuol dimostrare come il fondamentalismo cristiano possa essere peggio di quello islamista, e che dunque non è il caso da parte cristiana di dare lezioni di libertà e tolleranza a chicchessia? Siamo nell’oblast di Kaliningrad, la un tempo tedesca Königsberg, e piccola patria di Kant (e di Hannah Arendt), ora enclave russa stretta tra Polonia e paesi baltici. Nella pigra routine di un liceo irrompe l’invasato studente Venyamin (interpretato con un’elettrica forza e un magnetismo nevrotico-ossessivo da Puotr Skvortsov che ricordano certi attori giovani anni Cinquanta e Sessanta, James Dean o il polacco Zbigniew Cybulski), armato di Bibbia. Ha appena scoperto quel libro, e però subito trasformandolo nella sua guida al mondo di oggi. E comincia a contestare professori, lo stesso pope insegnante a suo parere troppo debole e accomodante di religione, la condotta di compagni e compagne citando passi biblici, la parola di Dio.
Quel che è contro la Bibbia va per lui combattuto, cancellato, distrutto. Venya è un letteralista, ritiene che quanto è scritto nella Bibbia vada preso alla lettera e non interpretato e adattato, e debba diventare indicazione, anzi obbligo per credenti e non. In una visione del libro che lo apparenta all’approccio, sempre letteralista, dell’Islam al Corano. Attira nel suo cerchio un compagno di massima fragilità, e innamorato di lui, ne fa il suo complice e la sua vittima. Mentre gli attacchi da parte sua contro la scuola continuano, sempre più violenti. Venya costruisce una croce e la piazza in classe, esige che le ragazze non usino in piscina il bikini in quanto immorale. Soprattutto, si mette in urto con Elena, l’intelligente, capace insegnante di biologia e la sua visione laico-scientifica. Lo scontro si fa incandescente sull’origine del mondo: Venya vuole imporre il suo credo creazionista, Elena gli oppone la scienza, fa argine, cerca di resistere. Tra i due sarà guerra. All’escalation assistono indifferenti e passivi gli altri professori, e la stessa preside, la quale invita Elena per quieto vivere a essere indulgente con Venya e a includere nelle sue lezioni il creazionismo. La contrapposizione tra la religione, equiparata tout-court al fanatismo e all’intolleranza, e il laicismo, indicato come luce nelle tenebre e forza progressiva, è alquanto schematica e da framassoneria ottocentesca, e però la macchina narrativa messa a punto dal regista e dal drammaturgo tedesco funziona assai bene. Si assiste allo scontro Venya-Elena senza noia, si resta allarmati dalla carica di violenza di lui accompagnata puntualmente da citazioni bibliche, si resta allibiti di come nessuno, a parte l’insegnante di biologia, cerchi di fermarlo (e questa è la parte migliore e più inquietante del film: l’aquiescenza può fare disastri). E intanto Venya conquista sempre più terreno e diventa ingovernabile. Padrone della scuola. Una resistibile ascesa con molte complicità e colpevoli. A intorbidare ulteriormente il quadro c’è pure l’antisemitismo, tara inscritta da sempre nell’anima profondo-russo. Con Venya che, nel suo delirio assai ben programmato, attacca Elena in quanto ebrea accusandola di pregiudizio anticristiano (e antirusso). Film di molti strati, e molti possibili bersagli, e però la polemica di Serebernnikov mi pare si indirizzi principalmente verso la nuova Russia della restaurazione di Putin. Non senza coraggio, perché il dissenso continua a non avere gran spazio da quelle parti, e storie come quella delle Pussy Riots finite in galera dopo la loro performance antireligiosa nella cattedrale di Mosca son lì a dimostrare come sia rischioso toccare certi punti sensibili nel regno dell’ex Kgb. Immagino che Parola di Dio non abbia avuto vita facile in patria, ma sarei lieto di essere smentito. Resta, a zavorrare il film e a impedirgli di essere davvero grande, il suo pesante schematismo, il suo essere così a tesi e privo di sfumature e sottigliezze. Un ring, più che uno scontro di idee. La denuncia della fosca alleanza in Russia tra potere politico e quello religioso era già presente nel formidabile, possente Leviathan di Andrey Zvyagintsev, un capolavoro, assai superiore a questo film di Kirill Serebrennikov.
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