Jesús, di Fernando Guzzoni. Cile. Con Nicolas Duran, Alejandro Goïc, Gastón Salgado. Sezione: Torino 34 (Concorso).
Jesús ha diciott’anni, non lavora, non va a scuola. Si annoia e fa stupidate per le strade di Santiago (del Cile) insieme ai suoi amichetti, sciagurati e bacati quanto lui. Ritratto dell’ennesima generazione perduta, come ne abbiamo visti e ne vediamo tante al cinema (Gus Van Sant, per dire). Ma poi succede un fattaccio, e Jesús prende consistenza, decolla, facendosi storia di dolore, colpa, espiazione. Con un finale che non ti aspetti. Voto 7
Secondo lungo di un trentenne cileno di nome Fernando Guzzoni che mostra sana costituzione registica benché di segno ancora non così originale e un po’ troppo derivativo. Un film che parte basso e poi va su, cresce, acquista forza dopo un inizio qualunque, che si fa agghiacciante e disturbante come un Haneke dell’altro emisfero (o della fine del mondo, per dirla con Francesco) dopo una partenza apparentemente anodina e anonima, troppo simile alla tanta roba che s’è vista negli ultimi anni in giro per festival su adolescenti latinoamericani variamenti sbandati, bacati, avariati o, nel migliore dei casi, fancazzisti (i colombiani Los Hongos e Las Nadies, quest’ultimo fresco vincitore della Settimana della critica a Venezia, il messicano Te prometo anarquia o l’argentino El auge del humano). Con ragazzetti torbidi senza neanche più l’innocenza dei riccetti pasoliniani, solo viziosi, solo la cattiveria gratuita da piccole bestie, parenti dei biondi e assassini di Gus Van Sant, e discendenti dai maligni Los Olvidados di Buñuel. Guzzoni nel raccontare i misfatti e il nullafaccentismo annoiato del suo Jesús, idoletto androgino da discoteca e da boyband de noantri, grazie a Dio non cerca facili scorciatoie sociologistiche, non giustifica e non fornisce alibi, semplicemente mostra. Il tutto mediante la solita macchina da presa di tanto cinema giovane e giovinastro mobile e concitata, tutta nervi e scossoni, movimenti e sommovimenti, a inseguire e quasi ferire i suoi protagonisti, mimando l’immediatismo del documentario, secondo una prassi registica ormai egemone. Figlio di padre vedovo che se ne sta via spesso per lavoro e lo lascia solo, Jesús butta via il tempo e la vita con i suoi pessimi amichetti, ha messo su un tentativo patetico di boyband, balla e sballa fumando e inalando varie schifezze, soprattutto stordendosi con il vecchio caro alcol in sovradosaggio. Non lavora, non va a scuola, non fa una minchia. Il che lo mette in urto con l’esasperato padre (cui va tutta la nostra solidarietà, un figlio così è un flagello). Con i suoi compagni imbarbariti e deficienti (Beto, Pizzarro…) si guarda i video dei narcos che sgozzano e fanno a pezzi col machete dei poveracci (a ognunoil suo Isis), si fa fare pompini da ragazzette e con il suo amico speciale Pizzarro è sesso omo deciso (in una scena in cui Guzzoni molto mostra e poco nasconde).
Poi una notte in cui son tutti ubriachi da bestia il fattaccio: trovano un povero gay, un ragazzino, in un parco, lo prendono a pugni, calci, bottigliate in testa. Con conseguenze pesanti, che indurranno Jesus a prendere – troppo tardivamente – le distanze dal gruppo (no, branco non lo scrivo) e confidarsi con il padre. Non dico altro. Se non che quando il film imbocca la strada del misfatto e delle conseguenze su quella testolina vacua di Jesús, quello che fino ad allora era sembrato un ritratto come tanti degli atoni, sciagurati millennials di nuova generazione latinoamericana prende corpo, consistenza, trasformandosi in racconto morale. Tra colpa ed espiazione. Con un finale che non ci si aspetta e che è molto vicino, curiosamente, a quello del colombiano Desde Allá – Da lontano, magnifico quanto incompreso Leone d’oro a Venezia 2015. Un finale che riscrive, in meglio, tutto il film e lo scaglia in un territorio più nobile e più interessante di quanto non sia il semplice referto generazionale. Un buon inizio per il concorso di questo Torino Film Festival, e un secondo film promettente per il trentenne e qualcosa Guzzoni (però, quante cose buone ci manda il cinema cileno, con naturalmente in testa il gran maestro Larrain). Nota: il film prende spunto dall’aggressione e morte di un ragazzo omosessuale in una piazza di Santiago qualche anno fa, un fatto che ha scosso il paese.
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