Los Decentes (titolo internazionale: A Decent Woman), un film di Lukas Valenta Rinner. Con Iride Mockert, Martin Shanly, Andrea Strenitz. Sezione: Torino 34 (concorso).
Belen lavora come colf in una zona residenziale argentina recintata e protetta da guardie armate. Finché un giorno scopre che al di là della rete c’è una comunità di nudisti-liberazionisti. E ci si butta. Ma dividersi tra due mondi così diversi non le sarà facile. L’austriaco trapiantato in Argentina Lukas Rinner non ripete l’esito del suo primo film Parabellum, faticando ad amalgamare gli ingredienti di questa sua ballata grottesca. Un po’ surreal-latinoamericana e un po’ Ulrich Seidl. Voto 5+

Il regista Lukas Valenta Rinner
Film argentino, di ambienti argentini, con attori argentini, però girato da un regista austriaco born in Salzburg. Son gli strani tragitti del cinema d’oggidì, dove le identità nazionali tendono a liquefarsi in un indistinto di culture e appartenenze. Di Lukas Valenta Rinner si era visto a Rotterdam un paio di anni fa l’interessante Parabellum, assai più riuscito di questo, che peraltro qualcosa riprende da quello (le atmosfere di una imminente distopia, la violenza che può scoppiare anche dove il livello di sicurezza è più alto, la segmentazione delle città in zone chiuse e non comunicanti). Siamo nell’area del grottesco filmico con forti venature surreali, anche con messaggio anarcoide-ribellistico da vecchio cinema di contestazione e sovversione anni Settanta. Un miscuglio di toni e registri che rischia di essere indigesto, e difatti Los Decentes lo è. Siamo in una zona residenziale suburbana di quelle recintate, con guardie armate a vigilare sulla tranquillità della classe affluente che ci vive. In quel plastificato paradiso tutto ville, villotte e villette e prati verdissimi e ben rasati arriva a fare la colf la povera Belen, una ragazzona dall’aria atona e assente, fors’anche un filo autistica. Deve badare a una signora immersa nei suoi riti e nelle sue paturnie da ricca sfaccendata e al di lei figlio aspirante campione di tennis (però frustrato). Un bel dì Belen scopre che al di là del recinto elettrificato c’è un altro mondo, un’altra vita, un’altra comunità, che sembra rovesciare e distruggere ogni consuetudine, ogni decenza borghese. Gli indecenti. Son nudisti, o, se preferite, naturisti. Deambulano belli o brutti che siano, e son più brutti che belli dunque non è un gran spettacolo quello da loro offerto, ma sempre sbiottati per il parco, si sdraiano al sole, fanno bagni solitari o collettivi, praticano il sesso tantrico, a due, in ammucchiata, eterosessualmente, omosessualmente, come capita, con chi capita. Una di quelle comunità neopagane tra movimenti nudisti tedeschi del primo Novecento e frikkettonismi californiani anni Settanta, chissà come incistatatasi in quella parte di Argentina. Grazie a un passaggo segreto Belen riesce a entrarci: comincerà a dividersi tra i due mondi, vivendoli tutti e due. Di qua è la cameriera tuttofare, benché un filo scirocccata, di là una venere spogliata in cerca di ogni possibile stimolo sensoriale (senza peraltro mai perdere quall’aria catatonica). Ci si diverte moderatamente, si sorride, e non si immagina il finale drammaticissimo che invece verrà allorquando i due gruppi entreranno in conflitto (e anche questo ricorda Parabellum). Sembra di assistere a certi film hippie-contestativi tra anni Sessanta e Settanta, dove si faceva presto a imbracciare il mitra e a sparare sugli ipocriti borghesi in nome di chissà che cosa: bastava il minimo pretesto e oplà, era subito lotta di classe anche cruentissima. Ma non è più tempo, il grottesco in salsa spagnola o latinoamericana ha funzionato bene solo con Buñuel, figuriamoci se può funzionare adesso, in questo film. Semmai il lato più interessante del suo autore è quello austriaco, l’attrazione per il laido, il sordido, il patologico, il mostruoso che lo apparenta al connazionale Ulrich Seidl. Di cui però in Los Decentes manca la forza dello stile. Oltretutto si fa fatica, ma proprio tanta, a simpatizzare per quei matti di nudisti, anche perché esteticamente orrendissimi. E se il regista salisburghese emigrato per lavoro a Buenos Aires voleva stilare l’ennesimo manifesto filmico liberazionista, avrebbe dovuto affidarsi a ribelli più presentabili. Che poi contrapporre la verità dei corpi nudi all’ipocrisia dei riti borghesi è roba vecchia di almeno quarant’anni. Oggi non si può più.
Pingback: Torino Film Festival 34. Vince il cinese THE DONOR: il migliore, semplicemente. Tutti gli altri premi | Nuovo Cinema Locatelli