Les derniers parisiens, un film di Hamé Bourokba e Ekoué Labitey. Con Reda Kateb, Slimane Dazi, Mélanie Laurent, Yassine Azouz. Sezione: Torino 34 (Concorso).
Primo lungometraggio di due componenti di una storia band francese di rap. Eppure il film non ha niente (grazie a Dio) dei cliché e manierismi dell’ormai esausta subcultura hip-hop: è invece solidissimo, assai strutturato, perfino tradizionale. Con una storia archetipica, quella di due fratelli-coltelli di origine maghrebina. Opposti per temperamento e scelte di vita, Nasser e Arezki si scontreranno drammaticamente (e a me hanno ricordato Rocco e Simone del viscontiano Rocco e i suoi fratelli). Gli ultimi parigini potrebbe contendere al cinese The Donor la vittoria. Voto 7+
Dopo aver letto che il film ha per registi due signori già componenti di un gruppo rap francese chiamato La rumeur ho temuto il peggio. No, mica ce l’ho con la cultura hip hop (insomma, delle volte sì, quando c’è di mezzo l’appariscenza bling-bling da magnaccia o quel rappettino senza odore né sapore di certi talent italiani). È che da quel mondo, da quei climi mi aspettavo arrivasse un film survoltato, adrenalinico, con dentro tanto rap incazzato delle banlieu, smodato uso di sostanze alteranti, e un’estetica sgargiante e smargiassa, cafona e pimp, insomma tutti quei cliché e manierismi lì. Invece macché. Les derniers parisiens è una bella sorpresa, non solo è uno dei migliori di un concorso non eccelso, ma è cinema solido, ben fatto, assai strutturato, perfino tradizionale, cinema di chi ha visto e amato molti film del passato. Americani e francesi, a partire dai polar. E con dentro una storia archetipica, da mito fondativo, da mito delle origini, quella di due fratelli coltelli che più diversi e opposti non potrebbero essere. Dunque destinati inesorabilmente a scontrarsi. L’ambiente è quello degli immigrati di seconda generazione, se non terza, dal Nord Africa e dall’Africa nera musulmana, l’epicentro un bar dignitoso e qualunque a Pigalle, Le Prestige. Pigalle, un quartiere che sta perdendo i suoi segni particolari e parte della sua gente per via della solita gentrificazione che tutto infighetta e trasforma in susheria e hipsteria. I fratelli Nasser e Arezki, francesi di origine (se ricordo bene) algerina, sono coproprietari del bar, ma adesso è Arezki, il maggiore e più posato, a gestirlo, visto che Nas è il libertà vigilata dopo una condanna per spaccio. Libertà ottenuta grazie al fratello che ha garantito per lui facendolo lavorare al bar. Ma Nas scalpita, si sente il padrone e invece gli tocca dire di sì ad Arezki. E nel loro scontrarsi, nell’opposizione tra chi lavora sodo e chi cerca le scorciatoie dell’illegalità, par di rivedere i fratelli di un’altra storia di emigrazione complicata, i Rocco e Simone del da me amatissimo Rocco di Luchino Visconti. Intorno, un coro di figure assai ben disegnate e benissimo interpretate, amici, parenti, a introdurci con precisione quasi etnografica in un mondo, una cultura, di cui molto viene detto e scritto ma pochissimo mostrato. I riti forti dell’amicizia, il culto non sempre nocivo e maschilista della virilità, la ricerca del successo vistoso come segno di integrazione o come integrazione surrogatoria e illusoria, e i nuovi business, i nuovi arricchimenti, e una nuova antropologia. Certo, lo spaccio di cocaina. Ma anche un sottomondo e un sottobosco fatti di impresari di locali e localacci più o meno equivoci, più o meno legali, bordelli-non bordelli, dove scorrono molti soldi portati dai clienti della Parigi affluente. Nasser, alleandosi con uno di questi nuovi signorotti di Pigalle, vorebbe trasformare Le Prestige in un locale ccol, Arezki si oppone, e tra loro sarà guerra. Naturalmente emergeranno i soliti segreti e panni sporchi di famiglia, molto verrà distrutto in questa lotta letteralmente fratricida, ma qualcosa sopravviverà, nonostante tutto e più forte di tutto. Di quei film che respirano e ti fanno sentire la vita, senza affettazioni, senza bellurie. I due registi piallano via ogni superfluità, vanno al cuore della questione, della narrazione, dei personaggi, cercando – riuscendoci – di restituire un pezzo di realtà che è anche un pezzo di Francia e, si suppone, della loro stessa biografia. Un film contemporaneo e insieme oltre il tempo, modellato su archetipi immarcescibili, in grado di far risuonare corde profonde in chi guarda. Gran prova dei due protagonisti, attori che abbiamo visto in una gran quantità di film e che qui sono al meglio, Reda Kateb e Slimane Dazi, faccia da mediteraneo antico e un’autorevolezza naturale. C’è anche in un ruolo collaterale Mélanie Laurent, sempre disponibile quando c’è di mezzo un progetto engagé. A questo punto Les derniers parisiens (forse il titolo si riferisce a quegli strati di popolo cui appartengono Nasser e Arezki che stanno per essere rimpiazzati dal fighettismo, e dal turismo onnivoro) potrebbe contendere al cinese The Donor la vittoria.
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