Torino Film Festival 2016. Recensione: TURN LEFT TURN RIGHT di Doug Seok. Buone sorprese dalla Cambogia

off_turnleftturnright_01-1Turn Left Turn Right, un film di Douglas Seok. Con Kanitha Tith, Thavy Pov, Vanthoeun Bo, Saveth Dy. Cambogia. Sezione: Torino 34 (Concorso).
off_turnleftturnright_02L’ultimo film del concorso è stato una discreta sorpresa. Lo ha realizzato un giovane cambogiano tenendo d’occhio due maestri del cinema asiatico come Apichatpong Weerasethakul e Hong Sangsoo. Turn Left Turn Right, nella sua aparente leggerezza e anche svagatezza, osa parecchio, strutturandosi in dodici capitoli, anzi tracce, come un album dei tempi belli. Mescolando popsong cambogiani ultracamp e frammenti di una dolente storia familiare. Esperimento azzardato, ma perlopiù riuscito. Voto tra il 6 e il 7
off_turnleftturnright_03Quando, arrivati ormai all’ultimo step del concorso, non ti aspetti più niente, ecco invece questo film venuto dalla Cambogia bislacco e interessante parecchio, film di giovanilistiche voglie sperimentali senza però cadere in eccessi di aridità intellettuale (come invece il pur bello Porto). Anche divertente e assai camp, mescolando con leggerezza e una certa improntitudine pop music asiatica e faccende serie come una storia di famiglia con padre morente. Scandito in dodici capitoli, anzi dodici tracks, come un concept album, anche se non si capisce bene quale sia il concept. Però la mistura, realizzata in tutta evidenza con scarsi mezzi economici e molta libertà, a modo suo funziona, bisogna solo non pretendere un’ecessiva coerenza e lasciarsi andare alla visione con una certa innocenza. Al centro una giovane donna di Phnom Penh di nome Kanitha, di modestissima famiglia – la madre ha un negozietto tipo orlorapido nel solito incasinato mercatino asiatico, il padre se ne sta, morente, steso su una stuoia – spesso licenziata perché disattenta, persa com’è nei suoi sogni e sonnambulismi. Le piace la pop music cambogiana, adora le popstar che si mostrano nei video vestite come regine su sfondi di sipari rosso carminio, e la narrazione si svolge così, passando dal primo al dodicesimo track attraverso frammenti di Kanitha, la sua vita, le sue immaginazioni, le immagini con musica. Che oviamente son le cose più godibile, ultraqueer come sono, e ricordano parecchio Apichatpong Weerasethakul quando, nei suoi film sospesi tra veglia e sonno, incastona spettacolini e celebrities più o meno sgallettate (vedi Tropical Malady e Cemetery of Splendour). L’altro cineasiatico di riferimento per il giovane regista Doug Seouk mi pare sia il coreano Hong Sangsso, visto che il ragazzo cambogiano, oltre che strutturare in dodici tracce-capitoli il film, lo spacca in due, battezzando la prima parte Turn Left, la seconda Turn Right, Francamente non si capisce il perché, però questa divisione è chiarissimamente ripresa da Right Now, Wrong Then del coreano, vincitore a Locarno 2015. Però qui applicata pretestuosamente, senza una vera necessità narrativa. Un vezzo, ecco. Diciamo che nella seconda parte Doug Souk ripende e amplia e arricchisce fatti già vsti nella prima (la malattia del padre, soprattutto, e la sua morte), ma resta alla fin fine un gioco cerebrale autoriferito, che è anche la pecca maggiore del film. Doug Seouk, giovane com’è, è giustamente spudorato, nel senso che se ne frega di tante belle convenzioni e si butta con coraggio. Non solo alternando le sue adorate pop queen (su sfondi di rovine) con l’agonia del padre di Kanitha, ma incastrando qua e là immagini sognanti, surreali, di pura derivazione inconscia (il mare, le barche). Eppure, nonostante tutto, il film non perde mai in levità. Dopo Diamond Island di Davy Chou, lanciato a Cannes alla Semaine de la critique, questo è il secondo giovane film cambogiano di quest’anno che vale la pena tenere d’occhio. Con, tra l’altro, anche qui sequenze girate a Diamond Island, l’isola di Phnom Penh trasformata in città-vacanza e città-casinò di pacchianissimo lusso e stile Trump a uso dei locali e degli stranieri ansiosi si farsi svuotare il portafogli.

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