Recensione: THE ENTERTAINER di John Osborne, con Kenneth Branagh. Al cinema il 10 e 11 gennaio

entertainer-new-lead-xlarge_trans124b_cjkvevdawswyx3nzpmzguwpehqbjp4io2cdkaeThe Entertainer di John Osborne, regia di Rob Ashford. Con Kenneth Branagh, Greta Scacchi, Jonah Hauer-King, Sophie McShera. Al cinema il 10 e 11 gennaio. Distribuzione Nexo Digital. Alla pagina Nexo Digital l’elenco delle sale.
14358689_1789456338002511_4066894164505477113_nTerzo e ultimo appuntamento di questa stagione cinematografica 2016-17 con il teatro di Kenneth Branagh, live dal Garrick di Londra. Dopo due Shakespeare, Il racconto d’inverno e Romeo e Giulietta, ecco stavolta un John Osborne, il signore che con Ricorda con rabbia diede una spallata decisiva a metà anni Cinquanta all’inamidato teatro inglese di papà immettendovi sporcature e venature plebee, e echi e malumori di un mondo, di una patria che stava cambiando in superficie e nel profondo e non sarebbe mai più stata la stessa. Dopo il clamore suscitato da Ricorda con rabbia il dominus indiscusso delle scene britanniche, insomma l’istituzione Laurence Olivier, gli commissiona nella sorpresa di tutti un play, e ecco nel 1957 andare in scena per la prima volta questo The Entertainer (arrivato poi in Italia con l’improprio titolo L’istrione). Abbastanza impressionante e profetico, a vederlo oggi. Di solido impianto drammaturgico – Osborne sapeva coniugare il ribellismo anarcoide al massimo del mestiere – The Entertainer ci introduce nel microcosmo di una famiglia di guitti del music hall ora allo sfacelo professional-esistenziale trasformandolo in trasparente, e potente, metafora di un’Inghilterra sull’orlo di una crisi di identità decisiva, e in procinto di perdere irrimediabilmente il suo status di superpotenza. Prima o poi il play doveva entrare nei piani di Kenneth Branagh, da sempre (ossessivamente?) impegnato a ripercorrere le orme di Laurence Olivier e rivendicarne l’eredità. Ne esce questo spettacolo assai convincente, con una messinscena tutta al servizio – molto britannicamente – del testo e degli attori, con una regia (di Rob Ashford) impersonale il giusto onde non snaturare l’impianto drammaturgico di Osborne. Teatro di autori e attori, quello made in Uk, dove il protagonismo del regista – consuetudine e forse malattia del teatro continentale dal dopoguerra in poi – non ha mai davvero attecchito. Dunque: testo e recitazione. E il testo non mostra rughe, a distanza di sessant’anni, collocandosi come un classico della scena moderna. Forse allora percepito come di mssima sovversione, oggi invece mirabile per perfezione e sagacia costruttiva, per messa a punto dei caratteri e precisione di dialoghi. E per come, in una sorta di istantanea, rappresenta quel turning point decisivo dell’Inghilterra. Difatti la storia del guitto da music hall Archie Rice e dei suoi familiari – la seconda disgraziata moglie, i tre figli, il padre nome glorioso del teatro di rivista – si svolge durante la guerra di Suez, che segnò con il suo fallimento la fine del progetto imperiale britanico e dunque la fine di un’epoca, di una Storia, di una grandezza che durava da secoli. E scusate se è poco. Tutto filtrato attraverso le beghe e le miserie dello scalcinato Archie, che si arrabatta pateticamente per tenere in piedi la gloria ormai finita della sua impresa di attori e intrattenitori di teatro popolare. Storia familiare e storia nazionale si intersecano, e troveranno nella morte di uno dei figli di Archie a Suez il loro punto di contatto-esplosione. Da vedere per la performance ineccepibile di Kenneth Branagh, ma soprattutto come referto di un passaggio epocale (sullo sfondo ci sono anche le marce dei pacifisti e degli antinuclearisti alla Bertrand Russell). Ecellente, e irriconoscibile, Greta Scacchi. È la seconda moglie, sconfitta e alcolista, di Archie e si fatica davvero a ritrovare in lei la star di Calore e polvere di James Ivory. (Vedendo The Entertainer mi sono scoperto a pensare come il Gigi Proietti di dieci-quindici anni fa sarebbe stato l’interprete perfetto di un’edizione italiana).

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