Un film bello e importante stasera in tv: IL GIOVANE FAVOLOSO (ven. 13 genn. 2017, tv in chiaro)

Il giovane favoloso, un film di Mario Martine, Rai 3, ore 21,15. Venerdì 13 gennaio 2017.
il giovane favolosoIl giovane favoloso, un film di Mario Martone. Con Elio Germano, Isabella Ragonese, Michele Riondino, Valerio Binasco, Iaia Forte, Anna Mouglalis, Massimo Popolizio.foto-il-giovane-favoloso-6-lowMartone torna a rivisitare l’Ottocento, come nel bellissimo Noi credevamo, raccontandoci stavolta vita, opere e infelicità di Giacomo Leopardi, da Recanati a Napoli. Non il solito biopic, ma un ritratto attraverso (anche) il pensiero di Leopardi, la sua visione del mondo. E inventando immagini e squarci di puro cinema. Il limite sta se mai nell’accumulo di troppi fatti e dettagli, nell’assenza di un solido asse narrativo. E però, film bello e altamente rispettabile. Voto 7
11467-Il_giovane_favoloso_18-Elio_Germano-__Mario_Spadail giovane favolosoMario Martone torna all’Ottocento dopo Noi credevamo, senza riuscirne a ripetere l’esito o, se vogliamo, il miracolo (io Noi credevamo l’ho amato molto e continuo a ritenerlo uno dei migliori film italiani della decade). Intendiamoci, Il giovane favoloso, biopic nientedimeno che di un padre della patria letteraria come Giacomo Leopardi, è lavoro assai rispettabile, con squarci potenti, con un’ultima parte assai bella e inquietante in una Napoli percorsa e invasa da lave, lapili e bacilli che richiama Morte a Venezia di Visconti. E però film senza un baricentro, che intorno al suo main character (e che character) accumula fatti, personaggi, digressioni che non ce la fanno mai a farsi un insieme coerente. Prima parte, infanzia e giovinezza a Recanati sotto la vigilanza dell’erudito e tradizionalista papà Monaldo e della religiosissima madre Adelaide, francamente troppo dilatata, difatti Il giovane favoloso decolla quando Giacomo abbandona il natio borgo selvaggio e se ne va via. Prima a Firenze, poi a Roma, poi a Napoli. Diventando poeta famoso e celebrato (sì. ma quando si tratta di dargli un premio letterario gli preferiscono un certo Botta, ma si può?), e però mai emancipatosi davvero dalla famiglia, sempre lì a chiedere soldi e prestiti al conte Monaldo. Quello che affascina e abbacina sono le parole, scritte e lette e dette, di Leopardi, e il suo sguardo sconsolato, stoico, asentimentale sul mondo, le cose, la vita, la gente, la storia, il futuro. Quell’ironizzare sulle magnifiche sorti e progressive. Insomma quello che volgarmente vien chiamato pessimismo leopardiano, locuzione vagamante spregiativa che continua ad accompagnare lui, la sua opera, la sua immagine come un marchio se non d’infamia certo non di massima gradevolezza. Siamo proprio scemi, abbiamo avuto un genio in grado di trapanare il reale con un’intelligenza-laser implacabile, così diverso dal medio nostro letterato curiale, cortigiano, piacione e in cerca di prebende, uno dalla schiena dritta nonostante la deformazione delle sue ossa, e lo trattiamo da menagramo. Sprecando quell’enorme patrimonio di cultura civile che lui ha dispensato nelle sue opere, e che qui nel film ogni tanto baluginano e illuminano come profezie. “Come si può credere alla felicità della masse quando gli individui sono così infelici?”, pronunciando così la definitiva sentenza su ogni speranza e illusione di palingenesi rivoluzionaria, quelle degli anni di Leopardi di derivazione francese e quelle di tutte le rivoluzioni successive. E quella natura che, nel pensiero rigoroso e implacabile del signorino di Recanati, anziché nutrire e proteggere i suoi figli li lascia in balia del mondo e del tempo. Lezione che tutti gli ecologisti estremisti di oggi si dovrebbero ripassare di tanto in tanto. Martone ha il merito di evitare l’agiografia, di non riconfezionarci il Leopardi conosciuto e tramandato sui banchi di scuola ma di rendercelo nella sua anomalia, anche di italiano, nella sua irriducibile e orgogliosa diversità, nel suo fottersi di ogni consolazione che lo allontani dalla infelicità. Infelicità non come masochismo, voluttà del soffrire, ma come frutto della consapevolezza. Ecco, questo magnifico Leopardi c’è nel film, ma non così sbalzato, troppo confuso in troppi dettagli non così necessari. Ci vorrebbe per Il giovane favoloso una sorta di liposuzione che togliesse, alleggerisse, desse una forma netta e precisa prosciugando ogni eccesso. Però, quante cose interessanti veniamo a sapere. La passione del pur infelice Giacomo, passione durata tutta la vita, per i dolci e i gelati, che forse contribuiranno alla sua morte. Il suo amore per una nobildonna (Anna Mouglalis, cioè una delle donne più belle del mondo) non corrisposto, anzi lei gli preferisce l’amico diletto di Leopardi, quel Ranieri che lo accompagna e sostiene, e lo proteggerà fino alla morte. Il film non ce lo presenta, Ranieri (Michele Riondino) come un profittatore, e grazie a Dio non insinua nessun omoerotismo tra di loro. Certo, Leopardi muore vergine, senza aver mai conosciuto carne di donna, e quel farsi amico uno scugnizzo negli ultimi tempi un qualcosa forse ci suggerisce, però Martone non esplicita, nemmeno allude (e nelle sequenze di Leopardi con quel ragazzo che lo accompagna in giro sembra di rivedere Totò e Ninetto Davoli in Uccellacci e uccellini). L’ultima parte è notevole, la migliore. In una Napoli eternamente uguale a se stessa, plebea, pericolosa e insieme complice, buia e porta aperta su ogni vizio. E intanto il Vesuvio erutta, il colera dilaga, il cielo si offusca, Giacomo è sempre più piegato, dolorante, debole, fino a che arriverà la morte. Che è una morte anche voluta, o almeno non evitata. E quando sentiamo la voce di Elio Germano leggere La ginestra, qualche brivido corre lungo la schiena, e non è per reminiscenze e nostalgie scolastiche. Germano, appunto. Vero, tende pericolosamente all’overacting, alpacineggia e robertdenireggia, però quant’è bravo, e come riesce a reinventare Leopardi, a rendercelo nostro contemporaneo, c0sì lontano e così vicino. Mai declamando, sempre adottando un recitare ipermoderno che rifiuta ogni accademismo e retorica e trombonismo.

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