1) La La Land (14 nomination)
2) Arrival (8 nomination)
2) Moonlight (8 nomination)Alle 14,15 di oggi sono state comunicate via streaming (peccato però ci sia stato a metà un blackout) le nomination all’Oscar 2017. Abbastanza prevedibili (la lista completa la trovate qui sul sito dell’Academy: sempre meglio andare alla fonte), con solo marginali sorprese e qualche esclusione eccellente. Come sempre, come ogni anno. Nella lunga epopea degli Oscar si son visti il meglio e il peggio, premi sacrosanti e scandalose dimenticanze, filmucci qualunque preferiti a capolavori e capolavori invece riconosciuti. Questa tornata, stando alle nomination, non mi pare si annunci memorabile e di massima meritocrazia, gli squilibri sono evidenti, la tendenza storica dell’Academy a preferire il cinema medio, ben fatto e piacione a discapito del cinema del rischio e dell’azzardo viene confermata. Trionfa La La Land del wonderboy Damien Chazelle – si parla sempre di cadidature, perché da qui alla serata finale tutto può succedere – , che incamera la bellezza di 14 nomination, due addirittura nella stessa categoria (migliore canzone), eguagliando il record di Titanic e Eva contro Eva. Ed è un’esagerazione, suvvia. Non l’ho amato quando l’hanno presentato in prima mondiale a Venezia (e son stato tra i pochissimi allora a bocciarlo), continuo a non amarlo dopo averlo rivisto a Milano qualche giorno fa in proiezione stampa. Non capisco, onestamente, come abbia potuto suscitare simili entusiasmi di qua e di là dell’Atlantico. Trattasi a mio parere di uno dei quei casi di infatuazione collettiva, di contagio psichico che ogni tanto capitano, non solo al cinema (magari capitassero solo al cinema). Deliqui e recensioni adoranti, una paccata di premi, e l’anno dopo il silenzio, nessuno ne parla più, nessuno se ne ricorda più. Cito, tanto per stare in campo Oscar, The Artist e Il discorso del re, clamorosi vincitori agli Academy Awards e subito dopo caduti in un buco nero (come si meritavano). Magari sarò smentito, ma credo che La La Land appartenga alla stessa categoria. Certo, furbissimo, energetico, ggiovvane, fresco e accattivante, e anche (sulla carta) coraggioso nel suo rifare un genere desueto come il musical. E però quanta approssimazione e anche sgangherataggine. Più che cantare e ballare, in La La Land si canticchia e ballicchia, il regista Damien Chazelle non mostra mai di avere un progetto coerente limitandosi ad assemblare di tutto e di più, in un’ingordigia citazionista e da copiaincolla che finisce col produrre, più che un pastiche postmoderno, un pasticcio e basta. Per dire, come può il jazzista duro e puro interpretato (c0n generosità, va ammesso) da Ryan Gosling comporre, suonare e cantare un pezzo melenso e musicalmente sciapo come City of Stars? Ma che jazzista è? Si metta d’accordo con se stesso. Invece, eccolo qua, La La Land, con 14 nomination, neanche fosse Citizen Kane. Non è così scontato però che incameri tutti quegli Oscar, dovrà vedersela difatti con la compagine, quest’anno agguerrita, dei film black sostenuti dalla Hollywood liberal e antitrumpista, pure ansiosa di far dimenticare le polemiche dell’anno scorso sulle scarse nomination a ‘tematica afroamericana’. Sicché è probabile che l’Academy ansiosa di emendarsi delle proprie (presunte) colpe assegni qualche statuetta a Moonlight, Fences e Hidden Figures – Il diritto di contare (cui si potrebbe aggiungere Loving), che insieme si son portati via una bella quota delle nomination di oggi. Con Moonlight favoritissimo (ben 8 nomination). Sulla qualità dei film suddetti non azzardo giudizi, non avendoli ancora visti, a parte Loving. Non ho visto nemmeno Manchester by the Sea, altro titolo assai nominato (quota 6), e dunque non commento. Sacrosanto lo score di Arrival (8 nomination, tutte meritate) e Hacksaw Ridge (6). Sono due film eccellenti, e il secondo ci riconsegna un Mel Gibson regista al massimo della forma: un film robusto, con una lunga sequenza di battaglia da annali del cinema. Lasciano allibiti invece le 6 candidature messe insieme da Lion, film decente ma niente di più, con però alle spalle il volpone Harvey Weinstein, uno che quanto a lobbying in zona Ocar non ha rivali. In un panorama tutto sommato scontato, qua e là spicca qualche nomination non così ovvia. Come le 4 di Hell or High Water, compresa quella per il migliore film. Pensare che quando lo scorso maggio lo diedero a Cannes a Un certain regard con il titolo Comancheria (con cui è poi uscito in Francia) non se lo filò quasi nessuno, tantomeno la giuria. Per carità, film discreto, dignitosissimo, ma non così nuovo ed esaltante (due fratelli la cui fattoria sta fallendo si mettono a rapinare banche, e sembra di rivedere Bonnie & Clyde e Gang di Altman). A film che hanno avuto troppo corrispondono altri che hanno avuto troppo poco. Come i due veri grandi titoli di questi ultimi mesi, Silence di Martin Scorsese e Jackie di Pablo Larrain. Per Silence, che è un capolavoro, una sola, miserrima candidatura, oltretutto in una categoria tecnica, quella per la migliore fotografia. C’era da aspettarselo. A chi volete interessi, oggi, un film che racconta di martiri cristiani nel Giappone del Seicento? Difatti scarsi incassi, in America e in Europa, e adesso questa nomination minuscola che somiglia molta a un alibi, a una foglia di fico. E il confronto con le 14 ottenute da La La Land svela impietosamente la miopia, per non dire la cecità, e il conformismo pigro dell’Academy. Quanto a Jackie: Natalie Portman nominata come migliore attrice protagonista, e ci mancherebbe, sarebbe stata una vergogna ignorarla. Meriterebbe lei l’Oscar, che temo andrà invece a Emma Stone, campionessa di smorfie e faccette nel musicaì di Chazelle. Le altre due candidature per il film di Larrain sono venute per i costumi e la colonna sonora (del genio Mika Levi), non nelle categorie pesanti, che contano davvero, miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura. Ed è il secondo scandalo dopo quello di Silence. Dimenticavo: l’unica candidatura per l’Italia l’ha strappata Fuocoammare, in corsa come migliore documentario (se la dovrà vedere con il favorito O.J. Simpson). Rovistando nelle varie categorie spuntano nomination inaspettate, che magari non produrranno statuette ma vanno intanto a valorizzare film, attori e autori lontani dal minstream hollywoodiano. E allora, viva l’immensa Isabelle Huppert, nomination come migliore attrice protagonista per Elle di Paul Verhoeven (pensare che a Cannes la giuria le preferì una sconosciuta attrice filippina, cose da matti, cose da festival). E che bello vedere nella cinquina dei film d’animazione il meraviglioso La mia vita da zucchina che se la batte con colossi come Zootropolis. Ma l’entrata più mirabolante – applausi! – è quello di The Lobster di Yorgos Lanthimos, nominato per la migliore sceneggiatura, e chi mai ci avrebbe scommesso (certo, molto hanno aiutato i 10 milioni di dollari che ha incredibilmente incassato in America). Che altro dire? Che stavolta si poteva lasciar fuori Meryl Streep, tanto di candidature ne ha avute più di ogni altro e altra nella storia degli Oscar, e Florence non è poi una cosa così memorabile. E che al posto suo avrebbero dovuto inserire nella cinquina Amy Adams (formidabile in Arrival come in Nocturnal Animals), la cui esclusione grida vendettae. Nella categoria più pazza, quella del migliore film in lingua straniera (è noto che i giurati poco o niente sanno del cinema oltreconfine e dunque votano spesso in modo surreale), non ci sono Elle di Verhoeven e Fuocoammare e nemmeno È solo la fine del mondo di Xavier Dolan, mentre ce l’hanno fatta il tremendo tedesco Toni Erdmann (altro caso di infatuazione collettiva), Il cliente dell’iraniano Farhadi e l’australiano Tanna ambientato in un’isola della Micronesia, vincitore nel 2015 a Venezia alla Settimana della critica (verrà distribuito in Italia da Tycoon, un’etichetta che si affaccia adesso sul mercato). Dimenticavo un altro grande dimenticato, Sully, l’ennesimo gran film di Clint Eastwood: una sola candidatura. Come Silence. Mai come stavolta less is more.
CERCA UN FILM
ISCRIVITI AI POST VIA MAIL
-
-
ARTICOLI RECENTI
- In sala. PATAGONIA, un film di Simone Bozzelli (recensione). Storia di Yuri e Ago
- In sala. IL GRANDE CARRO, un film di Philippe Garrel (recensione). Premio per la migliore regia alla Berlinale 2023
- Venezia 80. EVIL DOES NOT EXIST (Il male non esiste) di Ryusuke Hamaguchi – recensione
- Venezia 80. GREEN BORDER di Agnieszka Holland (recensione): crisi umanitaria ai confini dell’Ue
- Venezia 80. Chi vincerà come migliore attrice/attore? Questi i favoriti
Iscriviti al blog tramite email
4 risposte a Nomination all’Oscar: troppo a La La Land, troppo poco a Scorsese e Larrain