Berlinale 2017. Recensione: THE LOST CITY OF Z di James Gray. Avventura e delirio in Amazzonia. Molto alla Herzog, ma purtroppo senza Herzog

LCOZ_5066.CR2The Lost City of Z, un film di James Gray. Con Charlie Hunnan, Sienna Miller, Robert Pattinson, Tom Holland. Berlinale Special.
LCOZ_4958.CR2Un ufficiale britannico mandato tra Otto e Novecento sul Rio delle Amazzoni in missione dal governo di sua maestà, si convince che la foresta nasconda una città perduta, di immensa civiltà e ricchezza. Un’ossessione che lo spingerà a tornare là più volte. James Gray, che pure ci ha dato film meravigliosl (Little Odessa, Two Lovers), stavolta non riesce a imprimere il suo segno d’autore a un racconto convenzionale. E questo film di cui si è parlato per anni si rivela una delusione. Pesa anche l’inevitabile confronto con Aguirre e Fitzcarraldo di Werner Herzog. Tratto dalla vera storia di Percy Farrett. Voto 5 e mezzo
LCOZ_0492.CR2Lo strano caso di James Gray. Che, dopo i primi quattro (bellissimi) film molto contemporanei e un filo autobiografici su immigrati ebrei (e irlandesi) negli States, con C’era una volta a New York ha cambiato radicalmente cinema, occupandosi ancora di immigrazione, ma in forma di period movie e melodramma con risvolti noir nell’America anni Venti. Adesso un altro film nel e sul passato, con sontuosità di scenografia e costumi e neanche più il tema dell’emigrazione a collegarlo ai suoi precedenti. Un’altra cosa, un altro film, davvero un altro cinema. Anche parecchio convenzionale, con militari in alta uniforme ai ricevimenti, cottage anzi castelli nel countryside, interni maestosi di ministeri e altre reali istituzioni tra Otto e Novecento inglese. Che non lo si riconosce più, il rigoroso Gray delle tormentate famiglie askenazite. Ma perché avrà accettato di girare The Lost City of Z, certo tratto da una biografia diventata bestseller, certo prodotto dalla Plan B di Brad Pitt, ma così inesorabilmente medio-mainstream? Un’avventura amazzonica con delirio del suo protagonista, che sarebbe anche di molto fascino se non ci fossero già sul tema certi indimenticabili film herzoghiani, intendo Aguirre e Fitzcarraldo. L’altr’anno s’è poi visto ai festival e anche in qualche sala italiana il notevole El Abrazo de la Serpiente, di cui par di rivedere molti passaggi in questo La città perduta di Z. E dal confronto il film di Gray esce stritolato.
Il pimo quarto d’ora è insopportabile, tutto un ballo all’ambasciata e ‘il ministro vorrebbe incontrarla al più presto, signor Fawcett’. Perché il film decolli un attimo bisogna aspettare che Percy Fawcett, militare al servizio di sua maestà incaricato di perlustrare per conto della corona la zona dell’alto Rio delle Amazzoni contesa tra Brasile e Bolivia, e magari di aprire varchi a una presenza britannica, parta per la sua destinazione. Lasciando a casa la moglie comprensiva e emancipata (“sono una donna autonoma”) che non fa storie a far la vedova bianca, un figlio e un altro in arrivo. E comincia il viaggio sul grande fiume, con intorno la giungla più pericolosa che c’è, e indios che lanciano fracce letali e pure antropofagi, alla ricerca poi di non si sa che cosa. Avamposti di europei che lì, come il Kurz di Apocalypse Now (e Joseph Conrad), si sono insabbiati e hanno creato il loro piccolo impero con potere di vita e di morte sugli indios schiavizzati. E qui, sorpresa, compare Franco Nero quale signorotto non così lontano da quello già visto in Django Unchained. Il resto è abbastanza pevedibile, conoscendo il genere paura-e-delirio-in-Amazzonia. Le imboscate dei nativi fanno fuori parte del già scarno equipaggio, e quel paradiso promesso si rivela un grande niente. Mentre Percy Fawcett si convince sulla base di labili indizi (qualche coccio e poco più) che lì nella jungla si nasconda una grande città perduta, naturalmente costruita in gemme e oro, sede di una civiltà precedente a quella europa. La storia gliela racconta l’indio guida della spedizione, il resto lo fa l’immaginazione, l’ambizione, la voglia di grandezza e di passare agli annali con una scoperta sensazionale del soldato Percy. Naturalmente la città di Z non si lascia scoprire, forse perché non esiste. Fawcett torna a casa, ma tornerà, e tornrà ancora in Amazzonia, intossicato da quel sogno. Non gli basteranno nemmeno i traumi della guerra di trincea, dell’iprite sulla Somme a fargli dimenticare il suo sogno-incubo. Finale aperto, di cui ovviamente non si può dire.
140 minuti di un racconto cinematografico vieux style, anni Cinquanta, tra l’epico e il melodrammatico, che non riesce quasi mai a rivitalizzare i modi del vetusto film d’epoca. James Gray, per quanto si sia buttato nell’impresa (mica facile girare in Amazzonia) col massimo dell’impegno, resta prigioniero di un fare cinema medio che non gli appartiene, e il suo segno di autore qui non si avverte quasi. Quasi, perché la sequenza in cui padre e figlio si ritrovano nella notte amazzonica dai mille fuochi sull’acqua è meravigliosa, e alcuni momenti della follia di Fawcett, della sua hybris, sono disturbanti al punto giusto. Ma l’impianto spesso soappistico (la storia di famiglia) impedisce al buono che c’è di farsi largo ed emergere. Certo, utili riflessioni si fanno vedendolo, ad esempio sull’altra faccia del positivismo ottocentesco, di una razionalità scientifica che mirava alla conoscenza di ogni anfratto del mondo finanziando spedizioni in ogni dove ma che produceva anche il proprio opposto, il sogno, il delirio, la fantasia su inesistenti mondi perduti. Per tutto il film mi sono sforzato di vedere l’impronta di James Gray, il suo essere autore dietro e sotto una confezione tanto classica. Ma non l’ho trovata. Forse bisognerà rivederlo, questo The Lost City of Z, per ora c’è la delusione. Charlie Hunnan ha la faccia del giovane Ron Howard però coi baffi, Sienna Miller è la più brava, Robert Pattinson sacrificato e irriconoscibile sotto una lunga barba.

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