Hao Ji Le (Have a Nice Day), un film d’animazione di Liu Jian. Competizione.
Dalla Cina una crime story in forma d’animazione. Un noir lurido e cattivo che ruota, classicamente, intorno a un malloppo cui tutti danno la caccia. Il tutto affondato in una Cina della ipermodernità consumistica già degradata, già a pezzi. Quasi una rivelazione (pesa sul risultato finale un plot troppo intricato). Voto tra il 6 e il 7
Un film cinese d’animazione in concorso, e già questo è una notizia. L’altra, quella vera, è che si tratta di un bel film, tra gli otto-nove migliori di questa Berlinale 67 (parlo della competizione). Un noiraccio lurido e sordido con malloppo che passa di mano in mano, in una catena che sembra non finire mai, in un gioco del caso anche fin troppo spinto: le coincidenze sono troppe, e questo è uno dei limiti di Have a nice day, tale il titolo internazionale. Finale classicissimo, come se ne sono visti decine e decine nei classici del crime hollywoodiani e del polar francese. Solo che stavolta siamo in Cina, oggi, una Cina per niente felix, fatta di periferie urbane degradate e omologate, di templi del consumo e del divertimento appena nati e già da rottamare, tutta una collezione di oggetti, feticci e maniere mutuata dall’Occidente e riapplicata se possibile con ancora più ottusità, motorbiker punk, ragazzacce impiercingate e tatuate, boss feroci, sgherri ancora più feroci, e la voglia di fare soldi, tanti, maledetti e subito. Un quadro foschissimo, che l’ironia impressa dal regista non ce la fa ad attenuare, dove tutti pensano a massimizzare il proprio profitto personale, a ogni costo. La morale se mai c’è stata, è svanita, resta solo l’avidità.
Un poveraccio ruba una paccata di soldi a un boss della mala locale perché la fidanzaa s’è fatta una plastica da un cane di chirurgo plastico che le ha rovinato la faccia. E adesso l’unico modo di riemediare è andare in Corea, dove i chrirurghi san fare il loro mestiere, solo che l’operazione costa molto, moltissimo. Ed ecco la rapina. Sarà l’inizio di un ballo assatanato di tutti contro tutti, con l’ultima scena a sorpresa ma non troppo, se si conosce il genere. Segno grafico sporchissimo, facce ingaglioffite, donne se possibile anche più sguaiate e spietate degli uomini, e albergucci schifosi, amici torturati, ammazzamenti seriali. A meravigliare nel tratto grafico sono, più che la messa a punto degli umani, la definizione dei paesaggi, di una ipermodernità importata già arrugginita e decadente, con un’attenzione quasi feticistica ai neon colorati, alle pulsazioni intermittenti delle varie luci segnaletiche. Irresistibile la sequenza dei due disgraziati che sognano di andarsene nel parco-vacanze di Shangri-Là. Il film perde quota man mano che si avvicina al finale. Le coincidenze sono ben oltre il limite consentito a una sana sceneggiatura, il susseguirsi dei fatti è così veloce, i colpi di scena anche, che non ci si districa più. Ma, con tutte queste debolezze, un film-rivelazione, anche se non ho sentito un gran calore nella platea stampa a fine proiezione.
CERCA UN FILM
ISCRIVITI AI POST VIA MAIL
-
-
ARTICOLI RECENTI
- Berlinale 2023. Recensione: LE GRAND CHARIOT di Philippe Garrel. Giusto il premio per la migliore regia
- Berlinale 2023: SUR l’ADAMANT di Nicolas Philibert. Recensione del flm vincitore
- Berlinale 2023, vincitori e vinti: l’Orso d’oro a Sur l’Adamant e gli altri premi
- Berlinale 2023. Recensione: ROTER HIMMEL (Cielo rosso) di Christian Petzold. Partita a quattro
- Berlinale 2023. I FAVORITI all’Orso d’oro (e al premio per la migliore interpretazione).
Iscriviti al blog tramite email
Pingback: Berlinale 2017, LA MIA CLASSIFICA FINALE dei film del concorso | Nuovo Cinema Locatelli