Per fortuna c’è stato l’epic fail, l’oramai storico cambio di buste. Con falsa proclamazione di La La land vittorioso, successiva occupazione in massa del palco, tre discorsi, mica uno, dei vari produttori, prima che qualcuno gridasse contrordine ladies and gentlemen!, ha vinto Moonlight! Almeno la cerimonia degli Oscar più prevedibile da molti anni in qua – tutto secondo le predictions dei siti specializzati e non – dunque la più noiosa e piatta, si è chiusa con un deragliamento surreale, con un brivido non programmato, e che brivido. Roba da consegnare questa edizione agli annali, con i due film coinvolti che rischiano di stamparsi nelle memorie individual-collettive più per il fatale incidente che per i propri meriti o demeriti. Quella sera che al Dolby Theater scambiarono le buste come in un premiaccio balneare di una qualsiasi miss maglietta bagnata dove si proclama la mora al posto della bionda tettuta. Ma suvvia, divertiamoci e godiamo per come il caso, e l’approssimazione, abbiano mandato all’aria anche la macchina della perfezione (fino all’altroieri) chiamata serata degli Oscar. Colpa di Warren Beatty o di Faye Dunaway? Il primo la busta l’ha aperta e letta velocemente, per poi passarla (astutamente?) alla collega la quale è esplosa in un ‘La La Land!‘ senza rendersi conto che quella era la busta di Emma Stone vincitrice quale Best Leading Actress. Ma cosa sarà successo? In attesa che una commissione d’inchiesta nominata dall’Academy se non addirittura dall’autorità giudiziaria (come succederebbe in Italia) faccia luce, si potrebbe anche, se si è un filo complottisti, ipotizzare un qualche boicottaggio, una mano maligna. Ma a che pro? Spiace solo che la leggendaria coppia di Bonnie & Clyde si sia ritrovata, oltre che a dover esibire l’oltraggio dell’età e, nel suo lato femminile, dei troppi bisturi estetici, in un imbarazzo che non si meritava.
Non ho visto la scena in diretta, l’ho recuperata poi su uno dei molti siti che l’hanno rimandata a manetta. Perché, per la prima volta da molto tempo in qua, me n’ero andato a dormire, avendo deciso di non seguire la consegna degli AA né su Sky a casa e nemmeno alla ghiotta Oscar Marathon organizzata a Milano da Vanity Fair all’Odeon. Tanto, mi son detto, si sa già tutto, tutto è già scritto: La La Land, che neanche m’è piaciuto, stravincerà lasciando solo qualcosa del malloppo agli altri. Così mi son perso l’epic fail, ed è l’unico rimpianto. Il resto degli Oscar è stato (quasi) esattamente quello che ci si aspettava. Che Moonlight abbia sottratto al musical di Damien Chazelle l’Oscar più importante, quello di migliore film dell’anno, è sì contro i pronostici ma neanche troppo. Si sapeva che stavolta i giurati sarebbero stati, dopo l’accusa loro lanciata l’anno scorso di aver penalizzato il cinema afro-americano, assai benevoli verso i titoli black. Se poi la correttezza politica ha premiato il film di Barry Jenkins va anche bene visto che Moonlight – soprattutto per la regia che si prende libertà impensabili in un film americano benché indipendente – è assai meglio di La La Land (io però così avrei votato: Manchester by the Sea migliore film, Barry Jenkins migliore regia).
Gli altri premi: che noia che barba, tutto già scritto. Si sapeva di Emma Stone migliore attrice, altrettanto di Casey Affleck migliore attore. E vien da piangere a pensare che la Stone, che in altri film ha fatto meglio che in LLL, sia stata oscarizzata al posto dell’immensa Natalie Portman di Jackie e della Isabelle Huppert di Elle (e di Amy Adams, manco nominata: ma si può?). Vince ma non per cappotto il film ballereccio di Chazelle, che non ce la fa a battere, come il numero di nomination (14) avrebbe teoricamente reso possibile, il record degli 11 Oscar di Ben-Hur, Titanic e Il signore degli anelli, mentre l’onda del cinema black si porta via con Moonlight non solo il premio più importante ma anche quello di migliore attore non protagonista (Mahershala Ali, e ci sta, anche se io avrei preferito il Michael Shannon di Nocturnal Aninmals) e quello per la migliore sceneggiatura non originale. Da ascrivere al blocco black anche l’Oscar a Viola Davis – era alla terza nomination – quale Best Supporting Actress per Barriere, in my opinion interpretazione troppo telefonata (e, Dio mio, quel make-up così a posto, troppo a posto per una casalinga anni Cinquanta al più basso gradino della scala sociale). Nello scontro tra escapismi di canto e ballo (La La Land) e political-correttismi (Moonlight, Barriere ecc.) si apre un varco il bellissimo Manchester by the Sea assicurandosi due Oscar pesanti, Casey Affleck come migliore attore (cosa dirà il fratello Ben, finora l’indiscussa star di famiglia?) e migliore sceneggiatura originale (benissimo: anche se dare l’Oscar a The Lobster, incredibilmente nominato, sarebbe stato un colpo di scena capace di ravvivare la piatta serata senza dover aspettare l’epic fail). Due premi tecnici a Hacksaw Ridge di Mel Gibson, una delle belle sorprese del 2016/17 (miglior montaggio, migliore sound mixing), uno solo sulle 8 nomination ottenute a un altro gran film dell’anno, Arrival (sound editing). Che Fuocoammare non vincesse nella categoria documentari era nell’aria, si sapeva che i due docu a ‘tematica black’ (ancora!), O.J. Simpson, Made in America e I Am Not Your Negro, erano molto meglio piazzati, soprattutto il primo. Che difatti ha vinto. Dalla cinquina finale per il miglior film in lingua straniera erano stati esclusi, chissà perché, pezzi da novanta come Elle di Paul Verhoeven e Juste la fin du monde di Xavier Dolan, sicché a contendersi l’Oscar erano rimasti The Salesman del sempre molto amato e premiato iraniano Asghar Farhadi e il tremendo ma misteriosamente amatissimo Toni Erdmann della tedesca Maren Ade. Il quale, menomale, ha perso a favore di Farhadi. Anche qui, tutto prevedibile, tutto previsto. Dopo aver ricevuto la nomination, il regista aveva fatto sapere che non sarebbe intervenuto a Los Angeles alla serata finale in segno di protesta contro le misure restrittive trumpiane all’ingresso in America dei suoi concittadini iraniani e dei cittadini di altri sei paesi islamici. Il che l’avrà subito trasformato nel beniamino della Hollywood liberal che ama odiare Trump. E difatti, Oscar. Poi, per carità, il film è bello, anche se il suo autore in passato ha fatto di meglio. E se l’indignazione antiTrump ha dato una mano a far perdere Toni Erdmann non sarò certo io a lamentarmi.
Updating. Volendo sintetizzare in una formula facile facile questa tornata degli Oscar: ha vinto La La Land ma non trionfato, incassando qualcosa meno del previsto. E subendo almeno due smacchi clamorosi: ovviamente il premio come miglior film a Moonlight e quello per la sceneggiatura originale andato a Manchester by the Sea.
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