Blue Ruin, Rai 4, ore 23,17. Venerdì 3 marzo 2017.
Blue Ruin, un film di Jeremy Saulnier. Con Macon Blair, Amy Hardgreaves, Kevin Kolack, Eve Plumb.
Gli ammazzano i genitori, lui si vendica e fa fuori l’assassino. Ma dovrà poi vedersela con un’intera famiglia criminale che gli dà la caccia per mezza America. Un revenge movie tiratissimo e sanguinolento, però pensato e realizzato nei modi del cinema indipendente. Voto 7+
(recensione scritta dopo la proiezione di Blue Ruin al Torino Film Festival)
Arriva in concorso al TFF dopo essere stato a Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs e a Locarno in Piazza Grande questo notevolissimo revenge movie. Film di vendetta dei più canonici, eppure assai differente, anomalo, difficilmente apparentabile a precedenti, e la differenza sta tutta nei modi del cinema indipendente con cui tratta il suo oggetto narrativo Jeremy Saulnier, già direttore della fotografia, qui alla sua seconda regia. Taglio minimale-documentaristico e iper-realista, rinuncia a ogni enfasi sia sul piano del racconto che della messinscena e della costruzioine visiva, la solita camera mobile e prensile a catturare i corpi, i gesti, le facce, il micro e il macro. Eppure, il ritmo è travolgente, la suspense da classico hollywoodiano, di quelli cupissimi e nerissimi anni Quaranta dove ogni pietà l’è morta. Un film dimesso e insieme fiammeggiante. Vediamo un uomo vagare tra detriti, rovistare nella spazzatura, ha tutta l’aria di essere un vagabondo, un senzacasa. Scopriremo man mano qualcosa di lui. Che si chiama Dwight, che anni prima gli hanno brutalmente ucciso il padre e la madre, e che adesso l’asassino sta per uscire di galera. Dwight dismette i panni dell’homeless e indossa quelli del vendicatore. Si apposta fuori dalla prigione e fa secco il colpevole non appena varca il cancello. Ma era davvero lui il killer? O lui si era preso in carico della colpa di qualcun altro, di qualcuno che fa parte della sua famiglia, un clan criminale e criminogeno retto dalle leggi etologiche della sopraffazione. Fatto sta che adesso Dwight si ritrova braccato da tutti i pericolodi parenti del morto, che vogliono sangue, e non hanno intenzione di fermarsi fino a che non ci riusciranno. Quello che ci era sembrato un innocuo vagabondo, un reietto, un oucast, un paria si trasforma in abilissimo guerrigliero tra case, strade e autostrade, bravissimo nello schivare gli agguati del can nemico e a passare al contrattacco. In una caccia con parecchie inversioni e colpi di scena che si snoda cone un road move allucinato per un’America periferica. Violenza spettacolarizzata, come vogliono ormai da molto, molto tempo le regole di quello che si chiamava pulp e che oggi è diventata maniera, anzi consuetudine. Film cui forse nuoce l’arrivo a Torino dopo altri passaggi festivalieri, ma che potrebbe vincere qualcosa.
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