Kong: Skull Island, un film di Jordan Vogt-Roberts. Con Tom Hiddleston, Brie Larson, John Goodman, Samuel L. Jackson, John C. Reilly, Toby Kebbel.
Ritorna King Kong, lo scimmione più amato di sempre. Stavolta si nasconde in un’isola del Pacifico rimasta ignota per secoli: finché (siamo nei primi anni Settanta del Novecento) un satellite la scopre, e allora ecco che una squadra viene mandata in esplorazione. Naturalmente dovrà fare i conti con KK. Avventure, stupori e paure come in un vecchio fumetto, o in un B-movie della Hollywood più ingenua, ma anche consapevoli rimandi da parte degli autori agli anni Settanta e alla guerra in Vietnam. Con precisissime citazioni di Apocalypse Now di Coppola. Voto tra il 6 e il 7
Una discreta sorpresa, questo ritorno del cinema al magnifico scimmione King Kong, che anche qui ruba la scena a tutti, prima spaventando poi conquistandoci e perfino commuovendoci per quanto è bravo e buono. Un film che non si vergogna della sua fracassoneria, della propria natura di B-movie, ricalcando volutamente certe adorabili ingenuità e semplificazioni dei fumettacci avventurosi di una volta (intendo gli anni Trenta-Quaranta del Novecento) senza addentrarsi in perigliose letture e rivisitazioni alte del mito KK. Ma il fulcro, e il lato vincente, dell’operazione sta nella sua ironia, che non ha per oggetto lo scimmione – ci mancherebbe, Kong non si tocca! non si discute! – quanto gli anni in cui il film è ambientato, i primi Settanta, con i loro hippismi e radicalchicchismi contestativi (qui incarnati dal personaggio della fotografa), e con guerra in Vietnam già abbaondantemente infilatasi per gli americani nel vicolo cieco.
Dal Sud Vietnam viene difatti distaccata una squadra dell’aviazione militare al comando del tosto colonnello Packhart (Samuel L. Jackson) in una misteriosa isola del Pacifico. Misteriosa perché, protetta com’è da una densa cortina di nuvolaglie e tempeste, nessuno l’aveva mai rilevata prima che arrivasse un satellite-spia ad avvistarla e segnalarla dall’altissimo dei cieli. Sicché ecco adesso una missione per esplorarla e mapparla con gli elicotero d’assalto di Packhart, voluta da un’agenzia governativa su forti sollecitazione di un signore, Bill Randa, convinto che lì si nasconda qualcosa di straordinario. Al gruppo si aggregano una fotografa che punta come un’ossessa al Pulitzer e disposta a tutto per riuscirci (Brie Larson, Oscar l’anno scorso per Room), un militare britannico specialista in zone inesplorate (si chiama James Conrad, e credo che ogni riferimento al Joseph Conrad di Cuore di tenebra sia più che voluto: lo interpreta il sempre chiccissimo anche se qui in versione muscolar-eroica Tom Hiddleson), più un bel po’ di altra gente che non sto a dire per non tediarvi e togliervi il gusto di scoprirlo da soli. Naturalmente non appena atterrati dopo aver varcato la cortina tenpestosa, si ritroveranno faccia a faccia col gigantesco King Kong, giustamente arrabbiato nero per l’invasione della sua isola. Che lui domina, tenendo sotto controllo le ben più pericolose di lui creature mostruoso che si celano nel sottosuolo, e che naturalmente gli incauti esploratori ridesteranno. KK all’inizio è ferocissimo, intercettando con le sue manone un bel po’ di elicotteri e accartacciandoli come fossero giocattoli di stagnola e urlando e battendosi il petto, poi però si comincia a volergli bene quando diventa chiaro che lui è l’unico a poter arginare i mostri sotterranei, il vero pericolo non solo per l’isola ma per il mondo tutto.
Il film alterma come si deve i momenti spaventevoli, avventurosi e action a quelli più riflessivi e di attesa. Con il regista che si scatena nel ricreare gli anni Settanta formato Vietnam. A partire dalla testa di gomma di Nixon piazzata sui comandi dell’elicottero e ovviamente destinata a una brutta fine. Il riferimento evidente sono i Vietnam movies, e soprattutto il capolavorissimo del genere Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. Che Kong: Skull Island cita in continuazione, perfino compulsivamente. L’americano chiuso nel fitto della foresta e diventato una sorta di re della locale tribù è quasi un ricalco, pur se in chiave meno epica, del Kurz di Marlon Brando, il colonnello in preda a hybris militarista di Samuel L. Jackson che si eccita col napalm non può non farci pensare al Robert Duvall del film coppoliano. Ma è la speciale amosfera dei Vietnam-movies, quel miscuglio così peculiare di follia militare e follia lisergica che in Apocalypse Now ha trovato la sua definitiva rapresentazione nello show in mezzo alla foresta, che il regista Jordan Vogt-Roberts riesce a replicare e riprodurre. Quel tono hippie fuori di testa e insieme disperato che fu di tanti ragazzi mandati laggiù a combattere lo ritroviamo nella squadra allo sbaraglio nell’isola dei mostri, ed è il sigillo di un’operazione filmica che riesce a essere nello stesso tempo naïf-ultrapop(olare) e di massima raffinatezza citazionista. Dettaglio gorey, e raccappricciante scena di culto: lo schifoso mostro che sputa teschio e piastra di identificazione di uno degli esploratori da poco divorato.
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